I Berliner e la musica che resiste

Il tradizionale concerto per il compleanno dei Berliner, senza spettatori e con organico ridotto, per consentire una distanza di almeno 2 metri fra gli orchestrali

Berliner Philharmoniker, Europakonzert 2020
Foto di Monika Rittershaus
Recensione
classica
Berliner Philharmoniker, Europakonzert 2020
Berliner Philharmoniker, Europakonzert 2020
01 Maggio 2020

Nonostante la pandemia, i Berliner Philharmoniker non hanno rinunciato nemmeno quest’anno a festeggiare il loro compleanno, come negli ultimi trent’anni. E come da trent’anni il loro compleanno si festeggia nel nome di quell’Europa, che nel suo breve discorso introduttivo il Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier ha definito come una «camera del tesoro di grande musica», aggiungendo che «l’Europa è la nostra casa comune, e non c'è espressione migliore della musica, questa inconfondibile lingua comune europea» e non mancando di sottolineare l’importanza e il dovere alla solidarietà in questo passaggio così difficile nella storia del continente.

«L’Europa è la nostra casa comune, e non c'è espressione migliore della musica, questa inconfondibile lingua comune europea», Frank-Walter Steinmeier

Viste le circostanze, inevitabile che questo appuntamento quest’anno andasse al di là della pura occasione di fare musica per offrirsi soprattutto come testimonianza di presenza nel paesaggio sconfortante di teatri e sale da concerto chiuse ormai da settimane, di vicinanza al pubblico di tutto il mondo ma anche di solidarietà a tutti coloro che vivono le gravi difficoltà economiche prodotte dalla pandemia e in particolare il mondo della musica e della cultura. 

È ovvio che nemmeno i Berliner Philharmoniker si potessero sottrarre alle rigide misure di contenimento del contagio da coronavirus: pubblico bandito dalla grande sala della Philharmonie di Berlino e orchestra a ranghi ridotti per consentire una distanza di sicurezza di almeno 2 metri fra orchestrali. Programma dunque adattato alle necessità e ai vincoli molto stretti del momento che vedeva sulla scena della Philharmonie una quindicina di orchestrali guidati dal loro direttore Kirill Petrenko, una presenza quasi dimessa in questo concerto-testimonianza. 

Ben scelta e non banale la sequenza dei pezzi del concerto, che vogliono sottolineare le quattro condizioni con le quali il virus ha costretto tutti, senza distinzioni, a confrontarsi: paura, lutto, solitudine e speranza. Si apre con Fratres di Arvo Pärt nella versione per archi e percussioni: una successione “perpetua” di variazioni sulle sei battute del tema principale precedute dagli accordi frenetici del violino solista e separate dalla breve cesura ritmica del motivo delle percussioni, quasi un haiku esistenziale nel tipico stile sospeso del compositore estone.

Simili suggestioni sembrava ispirare anche il celebre Ramifications di György Ligeti, nel quale il reticolo delle linee sonore di ogni strumento – reso con magistrale limpidezza sonora dai Berliner – crea un reticolo di inarrestabile e vitale progressione dinamica verso una direzione indefinita. Più connotato, invece, il celebre Adagio for strings di Samuel Barber, originariamente concepito come secondo movimento del Quartetto per archi op. 11 e quindi impostosi in forma autonoma e orchestrazione per ensemble di archi come uno dei pezzi più celebri del XX secolo, spesso colonna sonora di annunci luttuosi per morti illustri o funerali di personalità e più di recente al ricordo per vittime meno celebri di massacri terroristici.

Una parentesi di raccoglimento per le numerose vittime del coronavirus, prima della più rasserenante Sinfonia n. 4 in sol maggiore di Gustav Mahler eseguita dai Berliner, ben distanziati sul palco, nella versione di Erwin Stein del 1921 per quintetto d’archi, due pianoforti, armonium, flauto, oboe e clarinetto e percussioni. Non comparabile con la densità del suono orchestrale della scrittura mahleriana (più leggera e trasparente comunque nella sua Quarta), si tratta comunque di una trascrizione agile che gioca su accattivanti sonorità cameristiche e sfrutta le doti virtuosistiche degli strumentisti, soprattutto del primo violino, dell’oboe e del clarinetto.

Ai bravissimi strumentisti dei Berliner, alla fine del terzo movimento dall’intenso slancio lirico, si unisce la luminosa presenza vocale di Christiane Karg per il lied "Das himmlische Leben" (La vita celestiale) che chiude con un tono rasserenante la sinfonia e questo insolito concerto in tempo di pandemia. Per citare il compositore, in quel canto di infantile ingenuità “c’è la serenità di un mondo superiore, per noi estraneo, che possiede qualcosa di spaventoso e orrendo.” Non sappiamo come saranno i mesi a venire, non sappiamo se saranno spaventosi e orrendi. È certo però che nella impresa di Petrenko e dei musicisti della sua orchestra, nemmeno salutata da un applauso in quella grande sala vuota, c’è la voglia di testimoniare che la musica, malgrado tutto, resiste.

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