Gli 80 anni di Marcello Panni in compagnia di Garibaldi
L’Accademia Filarmonica Romana con Sentieri Selvaggi ha festeggiato il compositore con la Grande Suite dall’opera Garibaldi en Sicile
Marcello Panni ha compiuto ottanta anni. Lo si crede a stento, talmente giovanile è il suo aspetto, acuto il suo pensiero e vivace il suo umore. Ma gli anni sono quelli e lo testimoniano le sue frequentazioni con i principali compositori della generazione di Stravinsky, Berio, Cage e Boulez e la sua diretta partecipazione alle avanguardie musicali del Novecento, iniziata prima del 1970, che si riflette anche nella sua intensa attività di direttore d’orchestra, con prime esecuzioni assolute di Feldman, Glass e tantissimi altri compositori, tra cui praticamente tutti i principali italiani di quel periodo, come Bussotti e Clementi, tanto per citarne alcuni, ma anche di compositori appartenenti a quelle generazioni successive alla sua, che rifiutano l’eredità di quei padri. Infatti Panni non si è mai arroccato all’interno di un dogma ferreo, inviolabile e perciò rassicurante. Anche come compositore, è sempre stato molto attento a quel che succedeva intorno a lui ma poi ha fatto come voleva, certamente cambiando molto durante gli oltre cinquant’anni di attività, ma rimanendo sempre fedele a se stesso.
L’Accademia Filarmonica Romana – di cui è stato direttore artistico ed ora è vicepresidente: ha svolto infatti anche un’importante attività di organizzatore musicale – lo ha festeggiato eseguendo la Grande Suite dall’opera “Garibaldi en Sicile”, che rivela una costante della musica di Panni e anche dell’uomo Panni: la naturale repulsione per la retorica e il rifiuto della magniloquenza e invece l’attenzione ai particolari anche più minuti, la cura dell’artigianato raffinato della realizzazione, l’eleganza non soltanto della forma ma anche e soprattutto dell’intelligenza. E la sottile ironia.
L’ironia permeava l’opera Garibaldi en Sicile, rappresentata al San Carlo di Napoli nel 2005. Nessuno sarà così ingenuo da pensare che quest’opera esalti Garibaldi come eroe e padre della patria. Panni invece, scriveva allora il giornale della musica, «si misura con un'icona sacra della storia nazionale come Garibaldi, recuperando la prospettiva assunta da Alexandre Dumas nel suo feuilletton "Les Garibaldiens”. Un'operazione rischiosa che Panni ha affrontato abilmente, facendo scrivere a Kenneth Koch un libretto in francese e adottando l'opéra-comique come modello drammaturgico». Non vi si trova certamente il minimo sospetto di retorica ma piuttosto «lo spirito da divertissement e il gusto neoclassico».
Quest’opera, non iconoclasta ma acutamente ironica e scettica nei contenuti, era dunque per quel che riguarda la musica un raffinato e divertente divertissiment neoclassico, non nei modi del Pulcinella stravinskiano, ma piuttosto di Jeux de cartes. Questo si avverte e si gode meglio nella Grande Suite per cinque strumenti che nella versione per grande orchestra. L’alternanza tra testi dell’epoca (letti da Elio De Capitani) e brani musicali viene mantenuta. Prima l’attore declama magistralmente l’Inno di Garibaldi, che fu scritto su richiesta del dedicatario ed è un misto di ingenuo entusiasmo e di gonfia retorica, che oggi fanno entrambi sorridere, e poi la musica interviene con un brano intitolato Aux Armes!, una abilissima e ironica metamorfosi dell’Inno di Mameli. Il secondo brano ad essere letto è di George Sand e poi, anche se ella era ormai vedova di Chopin quando lo scrisse, nel successivo brano musicale, Chanson d’adieu, si ascolta l’eco remota di una polacca di Chopin. Il terzo brano, Ricercare nocturne, nasconde una citazione di Bach. E così via fino al settimo e ultimo brano, Marche des Chemises Rouges, quando la marcia dei garibaldini viene trasformata con spietata ironia nella marca dell’Amore delle tre melarance di Prokof’ev., Il tutto si conclude con il beethoveniano “destino che batte alla porta”.
Tutte, o quasi, queste citazioni sono nascoste e bisogna saperle trovare, ma poi non sono nemmeno citazioni ma allusioni, usate come spunti per abilissime elaborazioni personali, un vero gioco tra compositore e ascoltatore, tanto divertente quanto raffinato. L’ironia delle idee e la magistrale realizzazione sono state colte e restituite con pari ironia e bravura da Carlo Boccadoro e dai cinque strumentisti di Sentieri Selvaggi e il pubblico, che era – lo diciamo senza snobismo – formato in gran parte da un élite di musicisti e ascoltatori “specializzati” ha ascoltato con estremo piacere quest’oretta di parole e musica e salutato l’autore e gli interpreti con applausi cordialissimi.
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