A Francoforte Görge torna a sognare
All’Oper Frankfurt un nuovo allestimento della rara Der Traumgörge di Alexander von Zemlinsky
Ha una vicenda particolarmente sfortunata Der Traumgörge (Görge il sognatore) di Alexander von Zemlinsky, opera di rara esecuzione di un compositore mai troppo presente sulle scene liriche salvo rarissime eccezioni (i due atti unici Der Zwerg e Eine florentinische Tragödie, spesso presentati come dittico) e quasi mai in Italia. Terza opera del compositore, composta fra il 1904 e 1906 e quindi pronta per essere eseguita all’Opera di Vienna nella stagione 1907/08 con Gustav Mahler, direttore musicale del teatro e committente del lavoro, sul podio. Ma stanco degli intrighi viennesi e dei frequenti attacchi antisemiti, Mahler abbandona improvvisamente l’incarico e il successore Felix Weingartner cancella l’opera dal programma, meno convinto del valore dell’opera. Ci vorranno più di settant’anni per la prima messa in scena, a Norimberga nell’ottobre del 1980, senza che l’autore morto nel 1942 potesse mai vederla rappresentata.
Il libretto di Leo Feld si ispira a due fonti: il ciclo poetico Der arme Peterdi Heinrich Heine del 1821 (che originò anche un ciclo di Lied di Robert Schumann) e la favola Vom unsichtbaren Königreiche di Richard von Volkmann del 1871. Bicefala sembra essere anche l’esile vicenda, che ha per protagonista Görge, un giovane piuttosto bizzarro che vive “letteralmente” nel mondo delle favole. Nel primo atto la scena è quella di un bucolico villaggio nel quale si stanno preparando le nozze fra Görge e Grete, la figlia dell’oste, che è soprattutto interessato a mettere le mani sul mulino destinato in eredità a Görge. Questi però sembra essere interessato più ai libri di favole, citate in continuazione, che alla promessa sposa. La donna quindi si scoccia e torna fra le braccia dell’antico amore, il più sanguigno Hans, appena tornato dal servizio militare. Görge non si scompone e, anzi, parte alla ricerca della principessa dei sogni, che gli appare in una specie di visione mistica. Nel secondo atto, la scena cambia completamente: siamo in un altro villaggio dove i lavoratori se la passano molto peggio e meditano una rivolta. Vorrebbero che proprio Görge, anche lui caduto in rovina, guidasse la sommossa. Lui però è completamente preso da Gertraud, una reietta in sospetto di stregoneria e piromania e vista malissimo dagli abitanti del villaggio. Per sfuggire al linciaggio della folla inferocita, Görge e Gertrud tornano nel villaggio di lui, dove Görge prende finalmente possesso del mulino di famiglia. Mentre si celebrano le nozze fra Grete e Hans, Görge comprende che è proprio Gertrud la donna dei sogni.
Nel suo nuovo allestimento per l’Oper Frankfurt, già annunciato nel 2020 e poi rinviato causa pandemia, il regista Tilman Köhler rinuncia a qualsiasi chiave interpretativa per illustrare la vicenda in modo piuttosto lineare e uniforme con la propria caratteristica parsimonia di mezzi. Non c’è un vero rovesciamento di senso ma nel finale Köhler sembra dirci che tutto è un sogno con quella Gertrud assorta sull’altalena sotto una pioggia dorata e Görge circondato da un gruppo di pargoletti rapiti dalle sue favole. La donna dei sogni non esiste che nei libri?
La scena di Karoly Risz è una scatola fatta di assi di legno chiaro con pochissimi elementi, aperture espressionisticamente sghembe sul fondo e un sipario anche di legno con in alto un’apertura a forma di gatto (proprio con un’allusione al Gatto con gli stivali si presenta il protagonista Görge). Di taglio espressionistico anche le luci taglienti di Jan Hartmann, che creano suggestivi giochi di ombre sulle chiare pareti laterali della scena. La costumista Susanne Uhl, invece, accentua il contrasto fra il mondo contadino del primo e terzo atto in rigoroso bianco e nero e quello operaio del secondo con gli operai vestiti di logore tute da lavoro.
Contrasta molto con la fragilità drammaturgica e la spiccata verbosità del libretto la rigogliosa vena musicale di Alexandre von Zemlinsky, ben innestata nella tradizione post-wagneriana di primo Novecento. L’orchestrazione è opulenta e la tavolozza coloristica inesauribile. Fedele a Zemlinsky più che a Feld, il direttore Markus Poschner pone solidamente al centro dello spettacolo l’orchestra, che è la formidabile Frankfurter Opern- und Museumorchester tagliatissima in questo repertorio. A soffrirne sono inevitabilmente le voci sul palcoscenico. Soffre un po’ il protagonista AJ Glueckert alle prese con un ruolo tutto sviluppato sulla tessitura spinta che affronta non senza forzature. Soffre molto meno invece Zuzana Marková, la migliore in campo, una Gertraud molto espressiva, dal timbro luminoso e di grande omogeneità nei diversi registri. Servono bene i rispettivi ruoli anche Magdalena Hinterdobler, una Grete briosa, e Liviu Holender, un Hans esuberante, e nella pletora di ruoli minori, emerge anche il vivace trio di operai di Iain MacNeil (Kaspar), Mikołaj Trąbka (Mathes) e Michael Porter (Züngl).
Pesano gli scioperi dei trasporti locali sulle presenze dell’Opernhaus di Francoforte, piuttosto scarse, ma la risposta è molto calorosa per tutti.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Al Teatro Sociale di Rovigo va in scena La voix humaine e a Padova l’OPV propone L’histoire de Babar
A Santa Cecilia, all’Opera e al Teatro Olimpico tre diverse edizioni del balletto di Čajkovskij
A Piacenza la stagione d’opera si apre con successo con una Madama Butterfly dall’efficace segno musicale