Fino alla fine del mondo
Arte concert propone l’opera Melancholia di Mikael Karlsson tratta dal film omonimo di Lars von Trier presentata con successo a Stoccolma nello scorso autunno
Accade sempre più spesso che soggetti di nuove opere provengano da film di successo. Non c’è da stupirsi: da tempo il cinema ha vinto la sua battaglia come sorgente primaria dell’immaginario collettivo. Naturale, quindi, che le storie si prendano da lì. Cineasta non facile e non per tutti, Lars von Trier e i suoi film sembrano essere una delle fonti preferite dai compositori contemporanei. Tre dei suoi film sono stati trasformati in opere, che hanno goduto di un certo successo. Al 2016 risale Breaking the Waves della statunitense Missy Mazzoli prodotta dall’Opera di Philadelphia, mentre nel marzo 2023 all’Aalto Musiktheater di Essen ha debuttato Dogville del tedesco Gordon Kampe. L’ultima arrivata (per ora) è l’opera Melancholia dello svedese Mikael Karlsson presentata nello scorso autunno all’Opera Reale Svedese di Stoccolma e visibile da qualche settimana nella piattaforma di Arte Concerto in italiano.
Cosa aggiunge l’opera al film? Poco.
Del film l’opera riprende integralmente la trama divisa nettamente in due parti. Come il film, l’opera si apre con la festa del matrimonio fra Justine e Michael. Gli invitati sono tutti presenti alla festa ma i due sposi ancora non si vedono. Il motivo? Justine vuole far vedere al neosposo il suo amato cavallo Abraham. È solo il primo segno che qualcosa non va. Justine subisce i rimproveri della sorella Claire, poi la tirata della madre Gaby contro Jack, il padre dello sposo. Justine perde sempre di più il controllo, mentre Michael la osserva rassegnato e incapace di reagire, anche di fronte all’amplesso della moglie con Tim, un impiegato del padre, non trova la forza di reagire. Completamente dissociata dagli eventi che la circondano, Justine sembra trovare forza in un astro di colore rosso, il pianeta Melancholia, in pericoloso avvicinamento alla Terra. L’indomani, Claire è profondamente angosciata e a poco valgono le rassicurazioni del marito John, appassionato di scienza e convinto, misure alla mano, che Melancholia non si schianterà contro la Terra. Justine sembra sempre più astrarsi dagli eventi, forse vittima di una depressione che la rende incapace di reagire. Preso dolorosamente atto che le sue teorie non avevano alcun valore e che la Terra sarà distrutta, John si suicida. Claire cerca un contatto con la sorella prima della fine, ma Justine decide di condividere la fine inevitabile con il nipote Leo in una grotta magica che li proteggerà da Melancholia.
Se nel film di von Trier un segno musicale forte veniva dal Preludio del Tristan und Isolde di Wagner e dal suo celebre accordo, molto meno efficace appare la partitura di Mikael Karlsson nel trovare un segno forte capace di caratterizzare lo sviluppo drammaturgico. Da un lato manca uno sviluppo musicale convincente, dall’altro non aiuta l’ecletticità di un linguaggio musicale, che impiega un’orchestra tradizionale con generoso utilizzo di elettronica, soprattutto in funzione di amplificatore di emotività. Anche la scrittura vocale, poco differenziata, non va oltre l’illustrazione in chiave lirica di dialoghi piuttosto lunghi e come molte ripetizioni del libretto approntato da Royce Vavrek, fin troppo narrativo e prudente rispetto alla sceneggiatura del film. Manca in questo lavoro la capacità di distaccarsi dal puro racconto per farsi apologo di un equilibrio ormai spezzato con la natura, rispetto al quale la scienza è del tutto impotente. E a poco valgono i timidi riferimenti all’attualità.
Gli “effetti speciali” sul piano musicale, comunque, non mancano e funzionano come devono anche grazie alla direzione di Andrea Molino, efficacemente illustrativa e sostanzialmente coerente con la natura del lavoro. Funzionano bene anche le due protagoniste, il soprano Laurent Snouffer, una tormentata Justine ben disegnata sia sul piano vocale che, soprattutto, su quello scenico, e il mezzosoprano Rihab Chaieb, una Claire progressivamente piegata dal senso della fine (in questo, immagine quasi simmetrica di Justine, che invece la fine anela) ma non troppo aiutata da una scrittura piuttosto piatta. Ancor meno caratterizzati gli altri personaggi dell’opera, fra i quali si impone soprattutto per la personalità da signora della scena Anne Sofie von Otter nel piccolo ruolo della madre Gaby, e Ola Eliasson nel vivido ritratto di John con tutta la sua umanissima impotenza di fronte al disastro annunciato.
Come la realizzazione musicale anche l’allestimento riflette comunque l’alta professionalità del massimo teatro lirico svedese. La regista Slavá Daubnerová non fa troppo per celare l’ispirazione diretta alle immagini del film di von Trier e sceglie un segno chiaro e narrativamente lineare, anche se giova comunque la conoscenza del film in alcuni snodi narrativi non del tutto chiari sul piano della drammaturgia. Lo scenografo Boris Kudlicka costruisce un ambiente funzionale alla narrazione con una “casa di bambola” con diversi ambienti sullo sfondo, mentre alle proiezioni curate da Bartek Macias è affidato, per quanto possibile, il ruolo degli effetti speciali, soprattutto nel catastrofico finale risolto abilmente.
Pessimista come poche, l’opera non offre molti spiragli alla speranza di una salvezza. Non resta allora che attendere la prossima prova dei due autori di questa Melancholia a dicembre a Bruxelles con ancora un soggetto tratto dal cinema: la storia di famiglia di Fanny och Alexander, uno degli ultimi capolavori di Ingmar Bergman.
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