Faust va al cinema

Dopo meno di un anno l’opera di Gounod torna al Teatro La Fenice in nuovo allestimento di Joan Anton Rechi, che convince poco

"Faust" (foto Michele Crosera)
"Faust" (foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
Faust
22 Aprile 2022 - 30 Aprile 2022

Non è passato nemmeno un anno e al Teatro La Fenice torna il Faust. Lo scorso anno l’opera di Gounod segnò la riapertura del teatro al pubblico dopo la lunga chiusura causata dalla fiammata pandemica. Si trattava, tuttavia, di un allestimento segnato dall’emergenza del periodo: capienza fortemente ridotta, e, svuotata delle poltrone, la platea mutata in palcoscenico di lusso. Per molti versi, però, pur in condizioni di emergenza, la complessa contingenza aveva prodotto una soluzione non priva di spunti interessanti e un ottimo utilizzo dell’insolito spazio scenico. Curiosamente, l’allestimento tenuto a battesimo in una situazione quasi normalizzata, con pubblico in platea a piena capacità e interpreti sul palcoscenico, funziona molto meno nonostante una locandina che presenta poche modifiche rispetto al 2021.

"Faust" (foto Michele Crosera)
"Faust" (foto Michele Crosera)

Non cambia il regista, Joan Anton Rechi, che, per questo nuovo allestimento coprodotto con il Teatro Comunale di Bologna, gioca la carta del cinema, come espediente per recuperare la giovinezza perduta di una stella decaduta, Faust appunto. Peccato che quella dichiarata dal regista resti nel libro delle buone intenzioni, poiché viene realizzata in uno spettacolo dalla drammaturgia estremamente confusa e non poco pasticciata, nella quale lo spunto cinematografico si coglie soprattutto nei fantasiosi costumi esplicitamente citazionisti di Gabriela Salaverri. Pochissimo invece il cinema nelle scelte dello scenografo Sebastian Ellrich, che si limita a creare una struttura fissa circolare e rotante al centro del palcoscenico (un richiamo allo scheletro delle scene di cartapesta degli “studios”?), che si rivela un forte limite all’azione nelle scene di massa, peraltro dirette in maniera piuttosto sciatta. Non poche le forzature e le tracce buttate là per sostenere l’esile concetto registico: un sipario/manifesto del felliniano Giulietta degli spiriti, un forzato e zoppicante cancan (in ritmo binario) fatto ballare a scoordinatissime ballerine sulle note del celebre valzer (in ritmo ternario) del secondo atto, e un siparietto bianco e nero che taglia le scene come in un montaggio piuttosto insensato.

Resta invece del tutto irrisolto il gioco fra realtà e finzione, nonostante il recupero dell’idea di un Méphistophèles demiurgo dell’azione, qui regista di un film del tutto improbabile che si esibisce in drag con la guepière paillettata di Helmut Berger nella Caduta degli dei nella scena pochissimo trasgressiva di un sabba fra due enormi gambe con calze a rete affollato di personaggi del grande cinema come in un ingessatissimo défilé. Risulta depotenziato anche il finale nichilista, che aveva un senso nella chiave di sacra rappresentazione del 2021 ma che ora ha bisogno della stampella di un “RIEN” scritto con tubi fluorescenti sospesi e senza nemmeno la proiezione di un “The End” (che però all’inizio c’è) tanto per chiudere con un’immagine che richiami la chiave dello spettacolo.

"Faust" (foto Michele Crosera)
"Faust" (foto Michele Crosera)

Nessun cambiamento per cast vocale rispetto alla edizione 2021, ma qualcosa sembra funzionare meno. Sicuramente non Alex Esposito, che spadroneggia come Méphistophélès grazie alla perfetta aderenza al ruolo sia sul piano vocale sia sulla grande disinvoltura attorale. Non è nemmeno il caso di Ivan Ayon Rivas, un Faust solido soprattutto vocalmente ma non troppo interessante sul piano interpretativo. Funziona molto meno la Marguerite di Carmela Remigio un po’ per un disegno registico confuso che non favorisce particolarmente il suo personaggio ma anche per una linea vocale spesso approssimativa e un colore di scarso fascino. Emerge poco anche il Sièbel della pur brava Paola Gardina e la Marthe di Julie Mellor, che passa quasi inosservata. Completano il cast le buone prove di Armando Noguera, un Valentin di corposa presenza anche se di timbro non sempre gradevole specie nella regione grave, e di William Corrò come Wagner.

È piuttosto impreciso, anche nei movimenti, il Coro del Teatro La Fenice, istruito da Alfonso Caiani, ma acquista autorevolezza e presenza sulla distanza, quando il coinvolgimento nel gioco scenico si attenua marcatamente. Della direzione musicale di Frédéric Chaslin emerge soprattutto la veemenza sonora delle grandi scene corali più che la delicatezza delle pagine più intimistiche, svolte diligentemente ma con scarso respiro poetico. Di spessore la prova dell’Orchestra del Teatro La Fenice impreziosita dagli ottimi interventi degli assoli.

Molti applausi e ovazioni per Alex Esposito.

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