Dvorak l’americano
Harding e la Mahler Chamber Orchestra al Lingotto
Recensione
classica
A volte in un concerto conta molto quello che si vede. Quello che si sente non con l’orecchio, ma con le sensazioni. Il rapporto che lega Daniel Harding con la Mahler Chamber Orchestra, di cui è direttore principale, è meraviglioso. Questo prodigioso ragazzo di Oxford classe 1975 ha il volto di un ragazzino britannico da film anni Quaranta. Potrebbe dirigere in braghette corte e lo scambieremmo per uno studentello modello di college. Sorridente, delicato, eccolo che si siede sul podio, informale e divertito, per il bis di virtuosismo con le sole dita pizzicanti del suo amico violoncellista Steven Isserlis. Eccolo leggere con scrupolo la partitura semisconosciuta del "Concerto per violoncello e orchestra in la maggiore" scritto da uno Dvorak giovanissimo, perduto dal compositore e poi riesumato negli anni Venti del Novecento e infine ora riscritto dallo spiritato Isserlis…
La Mahler Chamber Orchestra è formata da orchestrali perlopiù giovani, e conta. Ci sono metà maschi e metà femmine, e questo conta, perché lo yin e lo yang dei vari movimenti è delicatamente yin negli Adagi e nei Larghi, e prepotentemente yang negli Scherzi e negli Allegri e nei Finali. Qui, alla stagione di Lingotto Musica, abbiamo sentito da non molto la impressionante armata di maschi dei Wiener Philharmoniker: le cose suonavano molto diverse.
La "Sinfonia Dal Nuovo Mondo”, esaltata da una sezione di fiati semplicemente stratosferica, cui il pubblico alla fine ha tributato interminabili ovazioni, con Daniel Harding ci torna come composizione capostipite del Novecento americano, e come prodromo alla migliore musica da film delle grandi epopee del cinema americano. Vero prototipo, poi sempre raro, di sinfonismo multiculturale, ecco che dalla Nona di Dvorak giungono, nettamente garantiti, le ballad dei pionieri yankee, come lo spiritual africanamerican e le irresistibili danze nativeamerican. Se proprio si volesse dirla grossa, è da qui che deve essere partito Leonard Bernstein, profeta della musica americana contemporanea.
La Mahler Chamber Orchestra è formata da orchestrali perlopiù giovani, e conta. Ci sono metà maschi e metà femmine, e questo conta, perché lo yin e lo yang dei vari movimenti è delicatamente yin negli Adagi e nei Larghi, e prepotentemente yang negli Scherzi e negli Allegri e nei Finali. Qui, alla stagione di Lingotto Musica, abbiamo sentito da non molto la impressionante armata di maschi dei Wiener Philharmoniker: le cose suonavano molto diverse.
La "Sinfonia Dal Nuovo Mondo”, esaltata da una sezione di fiati semplicemente stratosferica, cui il pubblico alla fine ha tributato interminabili ovazioni, con Daniel Harding ci torna come composizione capostipite del Novecento americano, e come prodromo alla migliore musica da film delle grandi epopee del cinema americano. Vero prototipo, poi sempre raro, di sinfonismo multiculturale, ecco che dalla Nona di Dvorak giungono, nettamente garantiti, le ballad dei pionieri yankee, come lo spiritual africanamerican e le irresistibili danze nativeamerican. Se proprio si volesse dirla grossa, è da qui che deve essere partito Leonard Bernstein, profeta della musica americana contemporanea.
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A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln