Don Giovanni ossia l’ossessione del desiderio 

Al Teatro La Fenice torna l’allestimento di Damiano Michieletto per l’opera mozartiana con un cast interamente rinnovato 

Don Giovanni 
Don Giovanni 
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
Don Giovanni 
18 Giugno 2019 - 30 Giugno 2019

Nel sistema di repertorio tenacemente e intelligentemente portato avanti dal Teatro La Fenice, torna sulla scena del teatro veneziano per la quinta volta il Don Giovanni nella produzione firmata nel 2010 da Damiano Michieletto con le scene di Paolo Fantin e i costumi di Carla Teti, vincitore all’epoca del Premio Abbiati. Un ritorno per dodici recite tutte fuori abbonamento e tutte con buona partecipazione di pubblico nel ricordo del direttore svizzero Peter Maag, bacchetta di mozartiana leggerezza che aveva eletto il Veneto come porto sereno della sua luminosa vecchiaia. 

Del dramma giocoso di Mozart e Da Ponte è soprattutto sul dramma che insiste Michieletto. Come in una sorta di castello di Atlante, nel quale ognuno si smarrisce seguendo le vane ossessioni del proprio desiderio, gli ambienti, illuminati da candele con porte chiuse e alte pareti damascate sgualcite, si succedono sul palcoscenico rotante, sempre diversi e sempre uguali, in un ciclo continuo che fa pensare a un labirinto senza uscita. È un girotondo guidato dalla coazione alla seduzione che rivela solo il vuoto assoluto e privo di senso. Don Giovanni è il seduttore coattivo e oggetto unico del desiderio delle tre donne, proiezione costante delle loro fantasie e dominatore assoluto della loro volontà. Donna Anna canta a Don Ottavio “Tu ben sai quant'io t'amai / tu conosci la mia fe'” ma è a Don Giovanni (o al suo fantasma) che la donna si rivolge. Nonostante la sua collera isterica Donna Elvira si scioglie davanti a una sua carezza, ma non meno a lui pensa Zerlina mentre rassicura il suo sposo novello Masetto. E lui è più nero che mai, non tanto per il nerissimo costume che gli disegna la Teti, ma perché Michieletto lo mostra per il dissoluto che è, ossia stupratore seriale, sessuomane compulsivo, assassino (a bastonate) del Commendatore e anche un po’ vigliacco quando accusa Leporello della tentata violenza su Zerlina, ma anche osservatore distaccato e sprezzante delle sue vittime. Tutto funziona come da copione: la punizione arriva puntuale alla fine di quel percorso verso il nulla. Eppure, nonostante la morale degli altri (“Questo è il fin di chi fa mal / e de’ perfidi la morte / alla vita è sempre ugual”) lui è ancora là a menare le danze, perché così vogliono le sue vittime. 

Della locandina originale si ritrova soltanto il roboante Commendatore di Attila Jun, mentre il resto del cast è fatto di voci giovani e tutte belle, ma soprattutto molto aderenti ai rispettivi ruoli. Lo è certamente Alessio Arduini, un Don Giovanni giovane e insolente dall’impeccabile linea vocale. Più legato ai modi dell’opera buffa il Leporello balbuziente di Omar Montanari, a differenza dell’introverso Masetto, incisivamente caratterizzato da William Corrò, e dell’esitante Don Ottavio, la cui irresolutezza è oggetto dell’ironia di Michieletto (sull’aria “Il mio tesoro intanto” i propositi di vendetta vengono vanificati dalle porte che non si aprono solo per lui), al quale Juan Francisco Gatell regala un tono di composta nobiltà. Anche il versante femminile vanta tre ottime interpreti in Francesca Dotto, una Donna Anna di insolita introspezione psicologica, Claudia Pavone, un’Elvira tormentata e amante, e Giulia Semenzato, una Zerlina pochissimo vittima ingenua. Buona nel complesso la direzione musicale di Jonathan Webb, poco varia nelle dinamiche e talora con passo un po’ pesante, ma attenta soprattutto a rendere la ricchezza strumentale e la leggerezza mozartiana. Di spessore la prova dell’Orchestra del Teatro La Fenice come l’arioso accompagnamento dei recitativi al cembalo di Roberta Ferrari

Pubblico numeroso. Molti applausi e chiamate.

 

 

 

 

 

 

 

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