David Afkham dirige una novità di Lindberg a Santa Cecilia

Wagner e Brahms completavano il concerto del giovane e interessante direttore tedesco

David Afkham
David Afkham
Recensione
classica
Roma, Accademia di Santa Cecilia
David Afkham, Accademia Nazionale di Santa Cecilia
21 Novembre 2019 - 23 Novembre 2019

David Afkham, nato in Germania da genitori indiani di etnia parsi e quindi tedesco per lo ius soli, ha raggiunto dei bei traguardi ad un’età – trentasei anni – in cui un direttore d’orchestra è considerato ancora giovane. Anche il pubblico romano ha imparato ad apprezzarlo, se è accorso numeroso al suo concerto, che pure non aveva il bonus del solista di grido ma l’handicap (agli occhi di molti) del pezzo contemporaneo in prima esecuzione italiana.

Iniziamo proprio da quest’ultimo, Triumph to exist  di Magnus Lindberg su testi della poetessa Edith Södergran, entrambi appartenenti alla minoranza finlandese di lingua svedese. È stato scritto nel 2018 per ricordare i cento anni dalla fine della grande guerra e per questo motivo il compositore ha scelto sette poesie scritte proprio in quel periodo, che non nominano mai la guerra ma chiaramente si riferiscono implicitamente a quei tempi di sofferenza e di morte, a cui contrappongono la bellezza e la ricchezza della vita e il trionfo dell’esistere sulla morte. Bei versi, che non sembrano però offrire molti appigli alla musica. In effetti Lindberg non sembra raccogliere il carattere spirituale di quelle poesie e tuttavia le mette al centro dell’attenzione, perché il coro è protagonista assoluto, pur con un sostegno orchestrale sempre molto ricco e presente. I sette episodi di questo ampio brano, collegati tra loro senza soluzione di continuità, non seguono infatti le sfumature del testo, che sembrerebbero sollecitare un tono raccolto e quasi liederistico, e hanno invece un tono costantemente solenne, eroico, magniloquente, a tratti anche retorico, come nel finale. Se il tono di fondo è costante, di volta in volta Lindberg adotta soluzioni musicali diverse: passaggi ripetitivi vicini al minimalismo americano, asprezze ritmiche e armoniche “barbariche” che ricordano Stravinskij e Bartok, e altro ancora, anche una quasi citazione da Daphnis et Chloé  di Ravel. Insomma era difficile individuare l’impronta personale di Lindberg, che forse oggi consiste proprio in questo eclettismo. Invece alcuni anni fa era noto per una sua tecnica originalissima, che è stata definita “stroboscopica” a causa della velocità incredibile con cui i colori dell’armonia cambiavano e si sovrapponevano. Poiché in Italia e in particolare a Roma questo compositore è eseguito molto raramente, si aspettava con grande interesse questo suo nuovo lavoro, ma le attese sono andate parzialmente deluse.

Afkham ha aperto il concerto con il Preludio e morte di Isotta  di Wagner nella versione per sola orchestra: una bella esecuzione, molto controllata nelle sonorità, con una forte tensione interna, con una perfetta realizzazione della ricca ma trasparente e a tratti quasi cameristica scrittura orchestrale (bellissimo il solo del corno inglese Maria Irsara) e una grande attenzione alla straordinaria armonia, che ha cambiato per sempre il corso della musica. Più che parlare di questo notissimo estratto del Tristan und Isolde, vorrei copiare dal bel programma di sala di Gianluigi Mattietti la stroncatura di Eduard Hanslick, che paragonò questo Preludio a “un antico dipinto italiano che rappresenta un martire a cui viene estratto lentamente l’intestino”: voleva essere feroce ma oggi appare molto divertente.

Nella seconda parte Afkham ha diretto la Sinfonia n. 3  di Brahms, confermando il suo stile direttoriale asciutto ed essenziale: ha messo al centro i meravigliosi temi e i loro sviluppi, che costituiscono l’ossatura di ogni movimento, mentre non ha fatto nessuna concessione a un sentimentalismo sempre in agguato, ha rifiutato i ritardando e l’elasticità ritmica della grande e antica tradizione tedesca (vedi Furtwaengler) e anche i seducenti colori di un approccio relativamente più recente (vedi Karajan e anche Prêtre, l’ultimo ad aver diretto questa Sinfonia all’Accademia di Santa Cecilia nell’ormai lontano 2010). La sua è un’interpretazione che saremmo tentati di definire neoclassica, molto personale e interessante.

È noto che questa Sinfonia ha il “problema” di finire svanendo con un piano invece che con una coda fragorosa, con la conseguenza che gli applausi alla fine non sono mai fragorosi: è una legge fisica, di cui qualcuno prima o poi dovrà trovare la formula matematica. Ineluttabilmente anche questa volta gli applausi non sono esplosi con grande fragore ma sono durati a lungo, e questo è anche più significativo

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