A Colonia una Creazione di luce e un’Elektra di tenebra
Doppia apertura di stagione all’Oper Köln con l’oratorio di Haydn in forma scenica e l’opera di Strauss
La nuova stagione dell’Oper Köln si è aperta con una cattiva notizia: la riapertura della sua casa nella Offenbachplatz, attesa nel corso di questa stagione, è di nuovo rinviata. Poco cambia, comunque, per l’apertura di stagione che per la decima volta avviene negli spazi non teatrali della Staatenhaus nel quartiere fieristico “oltre Reno” di Deutz. Anche quest’anno si apre con due nuove produzioni tenute a battesimo in due giorni consecutivi e che si alternano per qualche settimana nella Saal 1 e Saal 2 con un significativo sforzo produttivo che coinvolge tutte le maestranze del teatro.
Per l’apertura Richard Strauss cede il passo a Joseph Haydn, del quale si è scelto un titolo non strettamente operistico ma l’oratorio Die Schöpfung (La creazione), presentato in una versione scenica. La regista e coreografa britannica Melly Still ci mette una buona dose di humour e un pizzico di poesia nella rappresentazione di un oratorio che pulsa di immagini musicali molto vivide e di natura intrinsecamente teatrale. La scena disegnata da Merle Hensel è una scatola nera vuota con tre morbidi pannelli sul fondo su cui vengono proiettate il testo dell’oratorio e immagini live o spesso dal segno astratto evocate nella vivida rappresentazione musicale del racconto biblico.
L’ottimismo illuminista che sottende il testo dell’oratorio viene mitigato da un distacco ironico al quale da corpo soprattutto la figura di un maldestro Satana (la danzatrice Francesca Merolla) e degli altri spiriti infernali che accompagnano l’azione scenica con movimenti coreografici o vere e proprie pantomime che illustrano i primi sei giorni della creazione, dal caos iniziale, alla luce separata dalle tenebre, e quindi il cielo dalle acque e così via fino alle piante e agli animali (mimati dai danzatori con irresistibile effetto comico) e infine l’essere umano, “il re della natura”. Dalla platea il coro sale sul palcoscenico per celebrare il compimento della grande opera e lodare il Signore, ma con i volti coperti rivolti al pubblico, quasi come a consegnare a tutti un severo monito. Segue quindi la terza parte interamente consacrata ai primi due umani, Adamo ed Eva, vestiti con due tuniche nere con sopra stampati i loro ritratti secondo Cranach il Vecchio. La celebrazione del creato della prima coppia biblica viene rappresentata sulla scena con una torsione concettuale: le copertine di opere filosofiche fra le più significative dall’antichità a oggi scorrono sugli schermi mentre i coristi in coppia sfilano indossando costumi teatrali di foggia via via più moderna per sottolineare lo scorrere del tempo.
La direzione musicale è affidata a un esperto di musica antica come Mark Minkowski che sollecita alla Gürzenich Orchester un suono agile e leggero e tempi piuttosto spediti come da tempo in uso con i più agili ensemble con strumenti originali. Ottima anche la prestazione del Coro dell’Oper Köln preparato da Rustam Samedov con duttilità dinamica e compattezza sonora degne di un piccolo coro ma monumentale negli incisi a chiusura di ogni scena. Impeccabili i tre angeli solisti, Kathrin Zukowski (Gabriel), che si impone soprattutto nell’aria “Auf starkem Fittiche” (Su una forte ala) con il vivace dialogo con gli uccelli vividamente evocati dagli interventi strumentali in orchestra, Sebastian Kohlhepp (Uriel) che ha la dolente eleganza dell’evangelista bachiano, e Alex Rosen (Raphael), il più disinvolto in scena. Elegante ma meno incisiva, invece, la coppia primigenia di André Morsch (Adam) e Giulia Montanari (Eva).
Non si potrebbe immaginare contrasto più forte fra il radioso ottimismo illuminista dell’umanità secondo Haydn e gli scuri abissi della natura umana rappresentati nell’Elektra di Richard Strauss. E se non bastassero già gli orrori prevista nella reggia degli atridi da Strauss&Hofmannstahl, il regista Roland Schwab ne aggiunge molti di suo per compiacere i palati forti. Oreste si fa prendere la mano e, eliminata la madre Clitennestra e l’amante Egisto, commette una vera e propria strage nel palazzo paterno prima di recidersi la giugulare lui stesso come se, compiuta la vendetta, la sua esistenza non avesse più senso. Così anche Elettra, nella folle danza che celebra il banchetto di sangue, innaffia tutto di benzina e incendia i resti della dimora del padre, prima di lasciarsi morire appesa a due funi. Alla fine non rimane che Crisotemide tenuta in vita dal suo agognato “Weiberschicksal”, il destino della donna madre che deve vivere per dare la vita.
Questa nuova Elektra, quasi rassicurante nella sua prevedibilità fino all’arrivo di Oreste, scivola sul finale su queste sguaiataggini grandguignolesche del tutto gratuite ma unico segno di una regia che, altrimenti, avrebbe rischiato di essere invisibile. Se un pregio ce l’ha la diaspora alla Staatenhaus è lo stimolo forzato a trovare soluzioni scenografiche e acustiche alle sfide poste da spazi enormi e non teatrali. Per questa Elektra lo scenografo Pietro Vinciguerra immagina una selva di pilastri illuminati da tubi florescenti la cui spoglia verticalità richiama l’austera essenzialità delle architetture arcaiche. Le luci molto mobili disegnate da Andreas Grüter animano quello spazio fisso creando prospettive da incubo. L’organizzazione creativa dello spazio prevede che fra scena e pubblico la distanza sia ridotta a vantaggio di un maggior coinvolgimento nelle vicende sceniche, mentre l’enorme orchestra straussiana viene disposta completamente sul lato sinistro del palcoscenico.
Eccellente la prova della Gürzenich Orchester in un repertorio particolarmente congeniale che trova in Felix Bender una guida competente, improntata a un grande equilibrio con le voci ma talora depotenziata di slancio tragico. La distribuzione vocale è dominata dall’ottima prova di Allison Oakes che è un’Elektra vocalmente robusta e ad alta temperie drammatica. Subentrata all’ultimo momento per sostituire la titolare Astrid Kessler, anche Magdalena Hinterdobler impressiona per la sua Chrysothemis intensa e di svettante vocalità, mentre Lioba Braun è una Klytämnestra deficitaria sul piano vocale ma anche priva di significativa presa drammatica. Gli altri interpreti si distinguono soprattutto per l’affiatamento più che per eccellenza dei singoli, come il quintetto delle ancelle (Adriana Bastidas-Gamboa, Regina Richter, Tina Drole, Maria Koroleva e Emily Hindrichs), mentre Insik Choi è un Orest poco marcante come anche Martin Koch con il suo Egisto, che ha soprattutto il pregio della misura.
Apertura doppia con il piede giusto come dice il caldo successo tributato dal pubblico di Colonia ad entrambe le produzioni.
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