Cenerentola matricida

Ad Ancora Rossini secondo la regia di Francesca Lattuada

Cenerentola ( Foto Bobo Artic)
Cenerentola ( Foto Bobo Artic)
Recensione
classica
Teatro delle Muse Ancona
Cenerentola
12 Ottobre 2018 - 14 Ottobre 2018

A duecento anni dalla prima anconitana sul palcoscenico del Teatro la Fenice, oggi non più esistente, il Teatro delle Muse di Ancona si unisce alle celebrazioni rossiniane con un nuovo allestimento di Cenerentola,per la regia di Francesca Lattuada e la direzione musicale di Giuseppe Finzi sul podio dell'Orchestra Sinfonica "G. Rossini".

Non una ragazza povera e maltrattata, secondo lo stereotipo più comune fissato da Perrault e dai fratelli Grimm ma, come riportano le versioni più antiche di origine còrsa e sarda, un'eroina che "sa maneggiare il coltello, eretica e rivoltosa" - scrive la Lattuada - colpevole di aver ucciso la madre (da cui il marchio della cenere) e non la matrigna come nella fiaba di Basile. Questa è la Cenerentola protagonista dello spettacolo: le scene iniziali, che la ritraggono appunto con un grosso coltello in mano, aprono (scrive ancora la Lattuada) "un percorso iniziatico in cui il sangue versato -q uello del sacrificio simbolico della madre - ma anche il suo stesso sangue, conduce la ragazza ad accedere pienamente al suo essere donna".

Più che donna: nella scena finale Angelina ormai divenuta principessa evoca una Virgo Lauretana con tanto di aureola a sette lame di coltelli (!) e le mani ancora imbrattate di sangue. Epilogo estremo e forzato, che enfatizza ed amplia verso nuove simbologie uno spettacolo che di simboli era già abbastanza carico: oltre al coltello, che verrà sostituito da un enorme lampadario che ne ricorda la forma, evocatori di significati non immediati erano i costumi di Bruno Fatalot, dal geniale abito 'a metà' delle sorellastre-manichini alla giacca asimmetrica di Ramiro travestito da scudiero. Alidoro poi vestiva abiti sacerdotali, e nel finale addirittura pontificali, in contrasto con il grembiule rigido da macellaio di Angelina. Ancora più difficili da interpretare la scelta di una scena quasi completamente vuota, con le luci e le quinte a vista (vi spiccava la freccia verde dell'uscita) e la staticità dei personaggi, prevalentemente fermi sulla scena. 

L'allestimento si è avvalso della collaborazione dell'Accademia Rossiniana "Alberto Zedda" del Rossini Opera Festival da cui provenivano i giovani interpreti: tutti ben calati nella parte, specialmente Pablo Ruiz in Don Magnifico e Giorgia Paci e Adriana Di Paola nelle due sorelle. Martiniana Antonie in Angelina è mezzosoprano di bella presenza e bella voce, così come tecnicamente preparata era la voce chiara e agile di Pietro Adaini in Ramiro; per entrambi si è notato un costante aumento di volume nei registri acuti, ma probabilmente lo sforzo nasceva dalla presenza troppo ingombrante dell'orchestra, che solo nel secondo atto Finzi, più attento agli strumenti che al palcoscenico, ha smorzato.  Nel complesso un allestimento non troppo convincente sia sul piano musicale che scenico, che non ha valorizzato appieno la straordinaria partitura rossiniana. 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Il violinista in recital per l'Accademia Filarmonica Romana

classica

Un memorabile recital all’Accademia di Santa Cecilia, con Donald Sulzen al pianoforte

classica

La tappa torinese per i sessant’anni della cantante