Baden-Baden notturna
Aperto il Festival di Pasqua dei Berliner Philharmoniker
Recensione
classica
Festival di Pasqua, anno quarto. A Baden-Baden anche quest’anno scendono in forze da Berlino i Berliner Philharmoniker animando per una decina di giorni i luoghi più significativi della tranquilla cittadina termale. Clou della manifestazione si conferma la produzione operistica, quest’anno “Tristan und Isolde” coprodotto con Teatr Wielki di Varsavia e il China National Centre for the Performing Arts oltre che con la Metropolitan Opera di New York, che riprenderà questa produzione per l’apertura della prossima stagione. E poi un gran numero di concerti sinfonici con alcune star internazionali (la violinista Janine Jansen, il violoncellista Yo-Yo Ma, la pianista Mitsuko Uchida) e soprattutto musica da camera con i Berliner in varie formazioni. Non mancano anche le occasioni formative per aspiranti musicisti della regione, come l’abituale spettacolo allestito in collaborazione con l’Orchester Akademie dei Berliner Philharmoniker e l’Akademie Musiktheater heute della Fondazione Deutsche Bank, quest’anno “Il mondo della luna”.
“In eterno duri per noi la notte”
È un “Tristano” con i colori della notte quello concepito per il Festspielhaus dal regista Mariusz Treliński. La notte, così spesso evocata nelle parole dei due amanti, simbolo di una purezza che tende alla morte. Una notte perenne avvolge la scena allestita da Boris Kudlicka come l’interno di una nave. Le immagini marittime abbondano: nei costumi di Marek Adamski ma già a sipario chiuso durante il preludio, con la proiezione del quadrante di un radar il cui tracciato si dissolve nelle immagini di un mare cupo e agitato dei video di Bartek Macias. I tre ponti sovrapposti e una grande scala sul lato sinistro, con sipari che svelano allo sguardo solo porzioni di spazio, sono funzionali all’azione nel primo atto condotta con misura e equilibrio. Sola sbavatura: l’esecuzione a freddo di Morold evocata nel testo e qui mostrata nella sua brutale, quanto gratuita, violenza. L’inizio è promettente ma le perplessità cominciano già nel secondo atto: l’idillio notturno dei due amanti decolla dalla plancia di comando ma l’estasi viene prima celata dietro proiezioni cosmiche e di aurore boreali e quindi immiserita dalle immagini dei due in piacevole conversazione con drink in mano nel bar della nave fra tavolini con vista mare. Un bacio colpevole comunque li tradisce. Pressoché imprescindibile ormai il gesto suicida di Tristan, che qui però risulta piuttosto gratuito. Se il secondo atto appare incerto, il terzo rinuncia a qualsiasi idea di regia limitandosi a costringere Tristan su un letto d’ospedale durante quasi tutta la sua straziante agonia. Arriva Isolde ma degli altri si sentono solo le voci. Anche la carneficina che ne segue resta invisibile al pubblico: è forse solo un riflesso della memoria (di chi? di Tristan che però è già morto?). Nel complesso, pare che Trelinski non solo non abbia le famose scarpe molto comode che la Nilsson raccomandava, ma nemmeno il fiato del fondista per arrivare fino alla fine. Le vivaci contestazioni di una buona parte del pubblico erano forse eccessive, ma lo spettacolo, sulla carta di grandi ambizioni, davvero va poco oltre qualche bella immagine (e qui va reso omaggio all’ottimo lavoro sulle luci di Marc Heinz, particolarmente per i primi due atti). Lo stesso pubblico sanciva invece il trionfo, meritatissimo, dei Berliner Philharmoniker e del loro direttore Simon Rattle. Suono pieno, avvolgente come le spire dei sinuosi cromatismi wagneriani, e bellissimo come probabilmente solo compagini eminentemente sinfoniche possono produrre. Rattle officia dal podio, tenendo a bada la potenza sonora per far cantare i suoi interpreti, tutti in possesso di belle voci ma non del tutto immuni da evidenti fragilità. Eva-Maria Westbroek (Isolde) e Stuart Skelton (Tristan) possono vantare strumenti vocali flessibili e ricchi di colori, che li piazzano certamente molto al di sopra di certe cattive convenzioni che passano per vocalità wagneriana, ma più di un difetto di emissione lui denuncia una certa stanchezza nel terzo atto mentre lei spinge troppo negli acuti perdendo talvolta il controllo della voce. Nemmeno Sarah Connolly (Brangäne) e Michael Nagy (Kurwenal) possono definirsi wagneriani di lungo corso, ma si fanno apprezzare soprattutto per l’elegante linea vocale (certo, un Kurwenal un po’ più sanguigno, non andrebbe poi troppo male …). Più corposa la prova di Stephen Milling (Marke) e significative quelle di Roman Sadnik (Melot) e Thomas Ebenstein (il giovane marinaio e il pastore). “E ancora una volta scese la notte …”
“Vedrem della luna se il tondo sereno sia un mondo ripieno di gente mortal”
Il cielo notturno del “Tristan” è privo di stelle e di pianeti, ma in quello del dramma giocoso musicato da Haydn sui versi di Carlo Goldoni trionfa il tondo sereno della luna “di Febo sorella”. Niente tormenti ma la leggerezza della commedia con qualche punta di “sano” cinismo (“Viva chi vive. Chi è morto, è morto. Dolce conforto la dote sarà.”). Una grande luna è proiettata in alto sul sipario chiuso alle spalle di Bonafede, padre burbero e taccagno quanto sprovveduto, vittima della burla “lunare” di Eclittico, spasimante della figlia Clarice e astronomo per interesse. Complice l’oppio, Bonafede vien fatto addormentare e risvegliato nel giardino di Eclittico spacciato per il mondo della luna. A colpi di “burlicchete, burlacchete, brugnocchete e cucù” i finti lunatici ingannano l’ingenuo Bonafede (che resta un “turlulù”) e strappano il suo consenso alle nozze fin lì osteggiate. E se davvero la luna sia “ripiena di gente mortal” resta quesito insoluto. La produzione in scala ridotta va in scena nella piccola sala rococò dello storico Teatro (che accolse, fra l’altro, la prima di “Béatrice et Bénédict” di Berlioz nel 1862) in un adattamento che sacrifica qualche personaggio minore, aggiunge il personaggio della moglie defunta di Bonafede e madre di Clarice (ossia la voce della coscienza) e soprattutto rielabora i recitativi originali in dialoghi in tedesco, mentre i pezzi musicali restano nell’originale italiano. Il tutto per poco più di un saggio di scuola condotto comunque con grazia dal regista Jörg Behr con scene e costumi ridotti davvero all’osso di Marc Weeger. Pressoché debuttanti i cinque interpreti ma già disinvolti e in possesso di buoni mezzi vocali, soprattutto il buffo Patrick Zielke (Bonafede) e le due spigliate primedonne Victoria Kunze (Clarice) e Joyce De Souza (la serva Lisetta). Più acerbi i due tenori Moritz Kallenberg (Eclittico) e Nikolaus Pfannkuch (il servo Cecco). Studenti anche in buca: suona l’orchestra dei borsisti dell’Orchester-Akademie dei Berliner diretta con brio e leggerezza da Stanley Dodds.
“In eterno duri per noi la notte”
È un “Tristano” con i colori della notte quello concepito per il Festspielhaus dal regista Mariusz Treliński. La notte, così spesso evocata nelle parole dei due amanti, simbolo di una purezza che tende alla morte. Una notte perenne avvolge la scena allestita da Boris Kudlicka come l’interno di una nave. Le immagini marittime abbondano: nei costumi di Marek Adamski ma già a sipario chiuso durante il preludio, con la proiezione del quadrante di un radar il cui tracciato si dissolve nelle immagini di un mare cupo e agitato dei video di Bartek Macias. I tre ponti sovrapposti e una grande scala sul lato sinistro, con sipari che svelano allo sguardo solo porzioni di spazio, sono funzionali all’azione nel primo atto condotta con misura e equilibrio. Sola sbavatura: l’esecuzione a freddo di Morold evocata nel testo e qui mostrata nella sua brutale, quanto gratuita, violenza. L’inizio è promettente ma le perplessità cominciano già nel secondo atto: l’idillio notturno dei due amanti decolla dalla plancia di comando ma l’estasi viene prima celata dietro proiezioni cosmiche e di aurore boreali e quindi immiserita dalle immagini dei due in piacevole conversazione con drink in mano nel bar della nave fra tavolini con vista mare. Un bacio colpevole comunque li tradisce. Pressoché imprescindibile ormai il gesto suicida di Tristan, che qui però risulta piuttosto gratuito. Se il secondo atto appare incerto, il terzo rinuncia a qualsiasi idea di regia limitandosi a costringere Tristan su un letto d’ospedale durante quasi tutta la sua straziante agonia. Arriva Isolde ma degli altri si sentono solo le voci. Anche la carneficina che ne segue resta invisibile al pubblico: è forse solo un riflesso della memoria (di chi? di Tristan che però è già morto?). Nel complesso, pare che Trelinski non solo non abbia le famose scarpe molto comode che la Nilsson raccomandava, ma nemmeno il fiato del fondista per arrivare fino alla fine. Le vivaci contestazioni di una buona parte del pubblico erano forse eccessive, ma lo spettacolo, sulla carta di grandi ambizioni, davvero va poco oltre qualche bella immagine (e qui va reso omaggio all’ottimo lavoro sulle luci di Marc Heinz, particolarmente per i primi due atti). Lo stesso pubblico sanciva invece il trionfo, meritatissimo, dei Berliner Philharmoniker e del loro direttore Simon Rattle. Suono pieno, avvolgente come le spire dei sinuosi cromatismi wagneriani, e bellissimo come probabilmente solo compagini eminentemente sinfoniche possono produrre. Rattle officia dal podio, tenendo a bada la potenza sonora per far cantare i suoi interpreti, tutti in possesso di belle voci ma non del tutto immuni da evidenti fragilità. Eva-Maria Westbroek (Isolde) e Stuart Skelton (Tristan) possono vantare strumenti vocali flessibili e ricchi di colori, che li piazzano certamente molto al di sopra di certe cattive convenzioni che passano per vocalità wagneriana, ma più di un difetto di emissione lui denuncia una certa stanchezza nel terzo atto mentre lei spinge troppo negli acuti perdendo talvolta il controllo della voce. Nemmeno Sarah Connolly (Brangäne) e Michael Nagy (Kurwenal) possono definirsi wagneriani di lungo corso, ma si fanno apprezzare soprattutto per l’elegante linea vocale (certo, un Kurwenal un po’ più sanguigno, non andrebbe poi troppo male …). Più corposa la prova di Stephen Milling (Marke) e significative quelle di Roman Sadnik (Melot) e Thomas Ebenstein (il giovane marinaio e il pastore). “E ancora una volta scese la notte …”
“Vedrem della luna se il tondo sereno sia un mondo ripieno di gente mortal”
Il cielo notturno del “Tristan” è privo di stelle e di pianeti, ma in quello del dramma giocoso musicato da Haydn sui versi di Carlo Goldoni trionfa il tondo sereno della luna “di Febo sorella”. Niente tormenti ma la leggerezza della commedia con qualche punta di “sano” cinismo (“Viva chi vive. Chi è morto, è morto. Dolce conforto la dote sarà.”). Una grande luna è proiettata in alto sul sipario chiuso alle spalle di Bonafede, padre burbero e taccagno quanto sprovveduto, vittima della burla “lunare” di Eclittico, spasimante della figlia Clarice e astronomo per interesse. Complice l’oppio, Bonafede vien fatto addormentare e risvegliato nel giardino di Eclittico spacciato per il mondo della luna. A colpi di “burlicchete, burlacchete, brugnocchete e cucù” i finti lunatici ingannano l’ingenuo Bonafede (che resta un “turlulù”) e strappano il suo consenso alle nozze fin lì osteggiate. E se davvero la luna sia “ripiena di gente mortal” resta quesito insoluto. La produzione in scala ridotta va in scena nella piccola sala rococò dello storico Teatro (che accolse, fra l’altro, la prima di “Béatrice et Bénédict” di Berlioz nel 1862) in un adattamento che sacrifica qualche personaggio minore, aggiunge il personaggio della moglie defunta di Bonafede e madre di Clarice (ossia la voce della coscienza) e soprattutto rielabora i recitativi originali in dialoghi in tedesco, mentre i pezzi musicali restano nell’originale italiano. Il tutto per poco più di un saggio di scuola condotto comunque con grazia dal regista Jörg Behr con scene e costumi ridotti davvero all’osso di Marc Weeger. Pressoché debuttanti i cinque interpreti ma già disinvolti e in possesso di buoni mezzi vocali, soprattutto il buffo Patrick Zielke (Bonafede) e le due spigliate primedonne Victoria Kunze (Clarice) e Joyce De Souza (la serva Lisetta). Più acerbi i due tenori Moritz Kallenberg (Eclittico) e Nikolaus Pfannkuch (il servo Cecco). Studenti anche in buca: suona l’orchestra dei borsisti dell’Orchester-Akademie dei Berliner diretta con brio e leggerezza da Stanley Dodds.
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