Il centenario della prima rappresentazione di Consuelo è alle porte e il teatro di Cosenza è intitolato ad Alfonso Rendano, che è nato a pochi chilometri di distanza. La riproposta di quest'opera è indubbiamente il risultato di tale serie di coincidenze, ma bisogna aggiungerci anche la curiosità per la sua anomalia nel panorama musicale italiano negli anni del verismo, che è avvalorata dal fatto che, dopo la prima rappresentazione a Torino nel 1902, non fu accettata da nessun altro teatro italiano, mentre ebbe una certa fortuna in Germania. Effettivamente Consuelo ha una sua originalità, perché condivide soltanto l'ambientazione settecentesca con Lescaut, Chénier e Lecouvreur ma non le passioni disperate, le morti sul patibolo e i mazzi di violette avvelenate: quel che vi si trova è invece un coacervo di romanticismo fantastico e tenebroso e di velleitarie pretese simbolistiche, con un pizzico di morboso decadentismo e con qualche presagio di stravolto espressionismo, se abbiamo ben capito, perché Francesco Cimmino riesce ad essere assolutamente ermetico, nonostante usi il librettese più corrente. Quanto a Rendano - musicista tutt'altro che disprezzabile, come dimostrano le sue composizioni strumentali, che meriterebbero il ripescaggio senz'altro più di quest'opera - si tiene deliberatamente lontano dal linguaggio imperante nell'opera italiana di quegli anni, ma il risultato è deludente: qua e là riesce a combinare qualcosa con l'orchestra, ma alle voci impone una indigeribile declamazione, che non veicola una sola espressione che non sia la più scontata e banale. Il tutto per oltre tre ore e mezza di durata (e forbici provvidenziali ci hanno risparmiato un'altra mezz'ora). Marcello Bufalini crede in questa musica e tenta di trovarvi degli elementi di modernità, ma troppo spesso la sua direzione è lenta e incolore, e questa è l'ultima cosa di cui Consuelo aveva bisogno. Ottima protagonista Elmira Veda e complessivamente adeguata la prestazione degli altri cantanti, tra cui meritano una citazione Damiana Pinti, Sebastian Na, Giampaolo Fiocchi e Lorenzo Muzzi. Tentando un'impresa disperata per rialzare le sorti di quest'opera, Franco Ripa di Meana le ha dato atmosfere represse e opprimenti, ambientazioni e costumi d'inizio 900 e luci fredde e livide, come se fosse una parente stretta dei drammi di Strindberg: una messa in scena intelligente e realizzata alla perfezione, che è riuscita a dare una parvenza di teatralità a una musica (per non parlare del testo) che ne è totalmente priva.
Note: nuovo all.
Interpreti: Veda, Pinti, Piunti, Traversi, Na, Pisapia, Buda, Fiocchi, Muzzi, Fratto
Regia: Franco Ripa di Meana
Scene: Marco Capuana
Costumi: Silvia Aymonino
Orchestra: Orchestra Philarmonia Mediterranea
Direttore: Marcello Bufalini
Coro: "I Solisti Cantori"
Maestro Coro: Laura De Troia