Alla Scala il centenario verdiano comincia con Trovatore

Un Trovatore notturno e pacato ha inaugurato il 7 dicembre la stagione lirica e il centenario verdiano della Scala. Secondo filologia, niente do di petto, rispettosi pianissimo, ma anche poche emozioni e piccoli malumori in loggione.

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
07 Dicembre 2000
Tradizionale mondanità, per nulla tradizionale Trovatore all'apertura della stagione scaligera. Con lucida coerenza Muti ha mitigato impulsi guerreschi e "grossolanità", a scongiurare insidie bandistiche, e ha fatto affiorare effetti liederistici di grande e inedita raffinatezza. Una scelta annunciata, andata in porto felicemente grazie alla duttilità dell'orchestra in buona serata, ma a parziale discapito della tensione drammatica. Il rigore nel trattenere e moderare in nome di un modello originario ha finito per stemperare il tutto in un'eleganza un po' algida. A farne le spese gli ottoni, sovente sacrificati dagli archi. Nella diffusa pacatezza Barbara Frittoli ha avuto possibilità di svettare. La sua voce mozartiana e la bella presenza scenica hanno fatto di Leonora una creatura angelica e ingenua, vera protagonista dell'opera e della serata. Licitra ha offerto generose intonazioni a Manrico, a suo agio nei momenti impervi, anche se con qualche velatura. Dopo la "pira" senza puntatura dal loggione sono echeggiati dei "buu", un singolo e squillante "Vergogna!", una successiva precisazione "Non è per il do di petto, ma per la direzione", il che ha fatto girare inviperito Muti esclamando: "Non trasformiamo l'inaugurazione verdiana in un circo". Mettiamo tutto in conto all'agitazione della prima. Straniato Nucci nelle vesti del Conte, nonostante la nobiltà stereotipata, anch'egli pizzicato dal loggione al termine del "Balen del suo sorriso". Violeta Urmana ha cantato correttamente Azucena, limpide le note di "Stride la vampa", ma senza dispensare brividi. Il coro della Scala al meglio, non si è fatto scrupolo d'intervenire con calore del tutto tradizionale e il risultato è arrivato dritto al pubblico. C'è forse da meditare: a sfrondarlo troppo di impeti, Trovatore rimane un alberello con qualche fogliolina - più che Trovatore si rischia un trovatello - il che non gli rende un buon servizio. La regia di De Ana ha assecondato l'impostazione generale, ingessando le emozioni. Manrico è così poco bellicoso che per smuoverlo è prima Azucena, poi Leonora a consegnargli la spada. Tutte due le volte misteriosamente estratta dal mantello delle istigatrici. Belli i costumi, pur offuscati dal buio. La scena, più che lunare, è di una tetraggine degna di Don Carlos. Mura ferrigne con pilastri gotici si scompongono giocando con lo spazio; velari dalle figure indistinte (salici o cascate?); sul campo degli zingari un masso sospeso nel vuoto come in un quadro di Magritte. Problematiche le scene militaresche, ora "tableaux vivants" di armigeri bloccati in pose minacciose, ora con gesti al rallentatore. Unica immagine davvero efficace è la catasta di armature nella Parte Quarta, che fa immaginare altrettanti cadaveri. Quelli di Leonora e Manrico saranno solo gocce in un oceano di morte. Al termine sette minuti di applausi e caparbi "buu" di qualche loggionista.

Note: nuovo all.

Interpreti: Nucci, Frittoli, Urmana, Licitra

Regia: Hugo De Ana

Scene: Hugo De Ana

Costumi: Hugo De Ana

Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala

Direttore: Riccardo Muti / Niksa Bareza

Coro: Coro del Teatro alla Scala

Maestro Coro: Roberto Gabbiani

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