E' il Simon Boccanegra di Claudio Abbado e del suo ritorno alla direzione d'opera in un teatro italiano con le masse artistiche di un teatro italiano, ed è a lui che alla fine il Comunale di Firenze decreta l'omaggio, oltre che di applausi a non finire, di una standing ovation, rito rarissimo in questa sede: il risultato di questo Boccanegra del sessantacinquesimo Maggio Musicale Fiorentino (coprodotto con il festival di Salisburgo dove lo spettacolo ha debuttato nel 2000) non ha smentito le speranze della vigilia. E' una lettura strabiliante, variegata, coerentissima, in cui la morbida e aerea sonorità di brezza marina degli strumentini nell'aria di Amelia (Come in quest'ora bruna) e i duri squarci espressionisti degli ottoni nella scena del Consiglio, le striscianti e tormentose melopee degli strumentini e gli scoppi drammatici del coro hanno pari importanza e trovano realizzazione in una ricchezza di colori e di dinamiche semplicemente impressionante. Il Verdi che la direzione di Abbado ci lascia godere sembra conoscere tutta la musica importante del suo tempo - in certi momenti pare di avvertire addirittura il velo cinerino del Boris - ma resta profondamente fedele a se stesso: una delle cose belle di questa interpretazione è come prendono flessuosità, profondità e senso i normali accompagnamenti verdiani, quelli che rappresentano il Verdi 1857 della prima versione, l'incanto di certi tre quarti, ad esempio. Non si pensi ad una lettura virtuosistica; il suo gran pregio è proprio la verdiana unità di tinta, in questo caso la qualità lirica, sognante, nostalgica che unifica miracolosamente tutta l'interpretazione che Abbado dà oggi di quest'opera, e che trova un suo vertice di commozione nel duetto del riconoscimento fra Simone e Amelia. Asseconda Abbado un cast in cui, a cominciare dal Simone di Carlo Guelfi e proseguendo con il Gabriele Adorno di Vincenzo La Scola e il Paolo Albiani di Lucio Gallo, la scrupolosa cura dell'intenzione espressiva e la docilità alla bacchetta sono tali da non far troppo rimpiangere le più spiccate personalità vocali dei cantanti verdiani del tempo che fu, oppure, venendo al Fiesco di Julian Konstantinov, quello che manca è compensato qua e là da un'intensa immedesimazione attoriale, come nella scena chiave della riconciliazione con Simone; ma chi ci mette al riparo da tali rimpianti è l'intensa, luminosa, seducente Amelia di Karita Mattila, alla fine la più applaudita tra i cantanti. Era un debutto a Firenze (nella regia lirica almeno) per Peter Stein che però, alla fine, non era presente al rito della ribalta. Il regista tedesco vate di Salisburgo si conferma all'altezza della sua fama nelle scene, per dir così, private, Amelia e Gabriele ad esempio, dense di una verità scavata nei personaggi senza peraltro rinnegare la tradizionale estroversione e platealità della gestualità operistica, anzi; più deludenti e sul filo della convenzionalità, casomai, le scene di massa. Le cose più belle le abbiamo viste quando, a teatro nudo o quasi, quinte e fondali neri e abbuiati, mossi da qualche drammatico taglio di luce (Guido Levi) o da spettrali cortei di fiaccole, definivano i conflitti in atto forse meglio di quanto non riuscisse a fare la scenografia (Stefan Mayer), elegante ma oscillante fra il quadro Ottocento della scena del Consiglio e la geometricità modernista del palazzo dogale. Successo strepitoso, come si è detto, da estendere anche all'eccellente prestazione dell'orchestra e del coro.
Interpreti: Guelfi/ Gallo, La Scola/ Dvorsky, Gallo/ Vratogna, Konstantinov/ Abdrazakov, Mattila/ Taigi, Concetti/ Serraiocco, Cossutta, Pellegrino
Regia: Peter Stein
Scene: Stefan Mayer
Costumi: Moidele Bickel
Orchestra: Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore: Claudio Abbado
Coro: Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro Coro: José Luis Basso