La profondità oceanica di Ichiko Aoba
Luminescent Creatures è il nuovo album della cantautrice giapponese

In concerto il 13 marzo all’auditorium San Fedele di Milano (sold out in prevendita), unica tappa italiana in una lunga tournée mondiale, la 35enne cantautrice giapponese Ichiko Aoba ha pubblicato a fine febbraio il nuovo album Luminescent Creatures, dopo che il precedente Windswept Adan ne aveva espanso la popolarità fuori dai confini nazionali con la sua trama fiabesca, guadagnandosi l’apprezzamento di colleghe quali Mabe Fratti a Cassandra Jenkins.
In patria era già artista affermata, invece, come provano le passate collaborazioni con il compianto Ryūichi Sakamoto e l’altro ex Yellow Magic Orchestra Haruomi Hosono: rango conquistato ricorrendo al minimo indispensabile, ossia voce e chitarra acustica.
Formula essenziale replicata qui in alcuni episodi, da “FLAG” – rarefatta elegia aperta dall’interrogativo “È vero che siamo rinati così tante volte?”, “canzone di corallo nelle tue orecchio”, per citarne un passo successivo – all’incantevole epilogo “惑星の泪 (Wakusei no Namida)”, intitolato alle “lacrime del pianeta” e attraversato da “una melodia di un milione di anni luce”. Anche quando l’arrangiamento si arricchisce di altri strumenti, la consistenza delle musiche rimane pressoché impalpabile, comunque: l’iniziale “COLORATURA” – tra fluidi accordi di piano, mulinelli di archi e svolazzi di flauto – offre ad esempio una sorta di jazz cameristico a gravità zero.
Intonato in madrelingua, il testo dice: “Cullati da un’onda gentile, spinti alle spalle da un vento di tempesta”. L’habitat è dunque acquatico: conseguenza di un viaggio della protagonista nell’arcipelago Ryūkyū, a metà strada fra Giappone e Taiwan, dove si è avventurata in esplorazioni subacquee in apnea, emulando le leggendarie pescatrici ama.
Scendendo in profondità, ha intercettato plancton e meduse, creature che comunicano per mezzo della luminescenza, esperienza dalla quale trae spunto “Luciférine”, il brano più esteso della raccolta, orchestrato in forma aggraziata da Taro Umebayashi, partner artistico confermato dal disco antecedente, e interpretato da Aoba con inflessione tenue evocando “una luce nel profondo dell’anima” e annunciando: “Siamo liberi di dimenticare i segreti che un tempo custodivamo”.
A una di quelle isole, chiamata Hateruma, fa riferimento – indicando nell’intestazione le coordinate geografiche del faro che vi ha sede: “24° 03' 27.0" N 123° 47' 07.5" E” – la sua versione di un’antica ballata folk locale, mentre la suggestiva messinscena ambient di “mazamun” (dal nome di un troll nel videogioco di ruolo World of Warcraft) indirizza lo sguardo agli orizzonti cosmici: “Ascolta quel dolce ronzio dal margine della galassia”, recita l’incipit. Indaga viceversa la dimensione abissale con fare pensoso “SONAR”, trovando infine “oltre l’oscurità, un barlume della prima canzone”.
All’apparenza fragile quanto l’autrice, Luminescent Creatures è in realtà un’opera dotata di solida qualità e fascino ammaliante.