Schumann, Bartók e il Quartetto di Cremona

Una rivelazione il primo concerto del ciclo dei Quartetti dei due compositori alla IUC

Quartetto di Cremona (foto Damiano Rosa)
Quartetto di Cremona (foto Damiano Rosa)
Recensione
classica
Roma, Aula Magna dell’Università “Sapienza”
Quartetto di Cremona
03 Dicembre 2024

Il Quartetto di Cremona, che da molti anni viene a Roma sempre e soltanto come ospite della Istituzione Universitaria dei Concerti, ha ora iniziato un nuovo ciclo, che rispetto ai più consueti cicli dedicati all’integrale di questo o quell’autore ha un motivo d’interesse in più nell’accostamento di due compositori diversi, Robert Schumann e Bela Bartók, apparentemente lontanissimi, salvo scoprire qualche insospettata affinità tra loro.

Sorprendentemente i tre Quartetti di Schumann si ascoltano più raramente dei sei di Bartók, il cui ciclo completo viene presentato con relativa frequenza (la stessa IUC alcuni anni fa lo ha proposto concentrato in un solo pomeriggio). L’interesse di ascoltarli tutti e sei consecutivamente deriva dal fatto che sono sei tasselli di un’unica grande opera, che costituisce la spina dorsale del pensiero musicale del compositore ungherese e allo stesso tempo il più importante ciclo quartettistico del ventesimo secolo, sebbene da qualche anno questo primato gli sia conteso dai prima sottovalutati quindici Quartetti di Šostakóvič (che, tra parentesi, si possono anch’essi ascoltare a Roma in questa e nella prossima stagione, eseguiti dal Quartetto Guadagnini all’auditorium dell’Università Roma2 “Tor Vergata”).

Ma i Quartetti di Šostakóvič costituiscono un insieme alquanto eterogeneo per forma e stile, sono stati scritti spesso di getto (l’ottavo in soli tre giorni!) e sono sempre portatori di riferimenti extramusicali alla vita del compositore stesso o alle vicende politiche dell’URSS a russe o alle tragedie belliche. Invece i Quartetti di Bartók, pur nella loro diversità, rivelano tutti un’elaborazione lunga e meditata e una grande omogeneità e compattezza. E ognuno di loro marca una tappa nell'evoluzione del linguaggio del compositore, tracciando un percorso coerente sviluppatosi per trent'anni. Tutta l'evoluzione del linguaggio di Bartók negli anni della maturità può essere tracciata sulla base dei suoi Quartetti: la fase della presa di distanza dal post-romanticismo nel primo Quartetto, la fase espressionista nel secondo, la ricerca della concentrazione estrema nel terzo, l'adozione della forma ad arco (cinque movimenti disposti in modo concentrico) nel quarto, la fase del riavvicinamento alla tonalità nel quinto, infine il momento del doloroso distacco dall'Ungheria nel sesto (un settimo quartetto è restato allo stato di progetto).

Quartetto di Cremona (foto Damiano Rosa)
Quartetto di Cremona (foto Damiano Rosa)

Non è un caso che Beethoven sia un ineludibile termine di paragone (e non è un onore da poco) quando si parla dei Quartetti di Bartók, perché i Quartetti di Beethoven furono per Bartók l’esempio sommo cui riferirsi, naturalmente con le differenze implicite nei cento e passa anni che separano i due compositori. E i rispettivi Quartetti sono gradini ineludibili per giungere alla comprensione dell'arte sia dell’uno che dell’altro.

Con una scelta totalmente condivisibile, il Quartetto di Cremona ha deciso di non procedere in ordine cronologico ma di iniziare dai due Quartetti centrali, mettendo subito l’ascoltatore a confronto con le due opere che costituiscono la chiave di volta dell’intero ciclo bartokiano, alla cui luce si capiscono meglio quelli che li precedono e quelli che li seguono. Ha dunque iniziato col Quartetto n. 3, che  sovrappone e fa coincidere le quattro parti tradizionali del primo movimento (esposizione, sviluppo, ricapitolazione, coda) e i quattro tempi della forma classica (veloce, veloce, lento, veloce), superando la concezione della forma come recipiente adatto ad accogliere i più vari contenuti e trasformandola invece in una struttura connessa inscindibilmente al contenuto, ove per contenuto si intende una idea o una serie di idee musicali strettamente interconnesse e dotate di una propria logica e consequenzialità, che necessita di una forma specifica e non di uno schema buono a tutti gli usi. Fondamentale è che il “contenuto” di Bartók sia la musica stessa: impossibile ravvisarvi significati extramusicali, che siano individuali o politici (i riferimenti a ritmi e scale magiare sono qui piuttosto marginali nell’economia dell’insieme e comunque hanno un valore strettamente musicale e non nazionalistico).

Al terzo Quartetto di Bartók seguiva il terzo di Schumann. Nel catalogo di Schumann i Quartetti non hanno un posto fondamentale come in Bartók: sono solamente tre, composti in un breve lasso di tempo e pubblicati nel 1842 con lo stesso numero d’opus. Come Bartók, ma cent’anni prima, Schumann guardava agli ultimi Quartetti di Beethoven, all’epoca recentissimi e ancora incompresi, come alle vette più elevate a cui l’arte, e non solo la musica, potesse spingersi. Una musica che non può essere espressa con parole e non ha alcun riferimento alla materialità del mondo. E anche il Quartetto in la maggiore op. 41 n. 3 di Schumann, a differenza di quel che normalmente si pensa della musica romantica, è musica assoluta, che non non ha alcun preciso e concreto rapporto con vita, pensieri e affetti del compositore e con la realtà materiale in generale.

Quartetto di Cremona (foto Damiano Rosa)
Quartetto di Cremona (foto Damiano Rosa)

Con la sua perfezione tecnica, la sua purificazione da ogni scoria convenzionale e la sua tensione interna, l’interpretazione del Quartetto di Cremona è una rivelazione della meraviglia di questo Quartetto. Eppure tanti musicologi del lontano e recente passato insistono nel dire che la forma classica e Schumann erano incompatibili. Invece il Quartetto di Cremona rivela che gli strappi del fervore romantico aggiungono e non tolgono all’assoluta consequenzialità di questo Quartetto, che è cosa diversa dalla forma scolasticamente intesa come equilibrata proporzione. Nella loro interpretazione, questa musica è tesa, intensa e inquieta ma anche asciutta. I suoi temi brevi e i suoi ritmi nervosi sono ovviamente diversi da quelli di Bartók, perché scritti a cent’anni di distanza, eppure hanno qualcosa di simile, tanto che ascoltandoli balena un’idea folle: perché, invece di eseguire uno dopo l’altro un quartetto di Schumann e uno di Bartók, non provare ad alternare un movimento dell’uno e uno dell’altro?

Dopo l’intervallo il concerto proseguiva con il Quartetto n. 4 di Bartók, in cui - come nel terzo - si mescolano novità e tradizione, tonalità e atonalità, polifonia e melodia, contrappunto severo e brutali accordi: il suono è un materiale da plasmare in tutti i modi possibili. Non si trovano parole all’altezza dell’interpretazione personale e allo stesso tempo assolutamente ideale del Quartetto di Cremona, che ha fatto scoprire tutti i lati di questi poliedrici capolavori della musica di due secoli. E alla fine, come bis, un excursus mozartiano con l’Andante cantabile del Quartetto “delle dissonanze”.

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