L’amore secondo il madrigale
Le giovani voci dell’Homme Armé Consort per Striggio, Marenzio, Gabrieli & C.
La Fornace Agresti è uno eccellente esempio di recupero di un opificio antico non lontano da Firenze, nel bel paese dell’Impruneta, noto infatti per le sue fornaci e le sue terrecotte, ed è uno dei luoghi di decentramento musicale che si prestano ad ospitare eventi musicali piccoli per dimensione ma non per rilevanza artistica. E’ qui che si è esibito sabato l’Homme Armé Consort, giovane costola di cantanti polifonisti, a inizio carriera e in formazione (Elena Mascii e Katharina Montevecchi soprani, Giulia Beatini e Elisabetta Vuocolo alti, Luca Mantovani e Lorenzo Renosi tenori, Rolando Moro e Lorenzo Tosi bassi), del più noto ensemble fondato e diretto da Fabio Lombardo, che ne cura la crescita e i programmi e ha diretto il Consort anche in questa occasione. Il concerto era parte del consueto cartellone autunnale dell’Homme Armé “Concerti al Cenacolo”, e infatti è stato replicato domenica a Firenze, al Cenacolo di Andrea Del Sarto a San Salvi, sede principale della rassegna.
Attraverso un repertorio ricercato, originale e ammaliante, fatto di grandi nomi di polifonisti e come di autori meno conosciuti, il tema era che cos’è l’amore e come lo si esprimeva in parole e musica secondo il codice del madrigale nel suo pieno fiorire. Il tutto sotto il titolo “Suonar le labbra”, perché in questo caso erano proprio gli amanti che parlavano, in dolenti soliloqui o in dialoghi appassionati. E allora, accanto a maestri come Luca Marenzio e Giovanni Gabrieli, si poteva capire in pieno la pervasività del codice madrigalistico in tutti i suoi simboli, emblemi, suggestioni e situazioni musicali, anche in autori minori o che tali ci sembrano, perché magari avevano buona diffusione nell’epoca d’oro di questo genere polifonico. E’ il caso, ad esempio, del misterioso e forse spagnolo Sessa d’Aranda, conosciuto attraverso qualche stampa di circolazione europea, che su un’ottava dell’Ariosto racconta, in “Pensoso più d’un’ora a capo basso”, i tormenti di un cavaliere innamorato infelice, con particolari macchie armoniche che fanno ipotizzare una sua presenza presso la corte spagnola di Napoli; e dell’inglese Peter Philips (ca. 1560 – 1628), compositore inglese fuggito in Italia perché perseguitato in quanto cattolico, autore di un delizioso dialogo fra amanti che come al solito si danno del voi ma poi finiscono per “morire” insieme nel più intimo accordo. Situazioni topiche come l’evocazione della guerra d’amore attraverso ritmi marziali e squilli di trombe risuonanti fra le voci per un’altra piccante ottava ariostesca intonata da Alessandro Striggio (“Non rumor o son di trombe”), e un testo del Tasso mirabilmente giocato da Luca Marenzio per conseguire il tipico effetto d’eco (“O tu che fra le selve occulta vivi”). Ancora Tasso per Giovanni Gabrieli (“Dormiva dolcemente la mia Clori”), e inoltre pagine di Maddalena Casulana, ritenuta la prima compositrice ad avere l’onore della stampa. Per finire “Donne, la pura luce” di Ruggero Giovannelli, il cui testo (del poeta Cristoforo Castelletti), negli ultimi due versi (“Stravaganza d’amore / che delle piaghe sue si glorii un cuore”), forniva un degno compimento a questo programma imperniato sugli affetti amorosi madrigaleschi. Ottimo successo.
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