L'album di famiglia di Laura Marling
Il nuovo disco della cantautrice inglese Laura Marling nasce dall’esperienza della maternità
Intercettiamo Laura Marling, 34enne cantautrice inglese dalla carriera solida e fruttuosa, avviata precocemente nel 2008 e premiata già nel 2011 da un BRIT Award, in un passaggio cruciale del suo tragitto esistenziale, dal quale deriva il contenuto del nuovo album, ottavo della serie: Patterns in Repeat.
Nel febbraio dello scorso anno è diventata madre: avvenimento di cui il precedente Song for Our Daughter costituiva dunque una sorta di premonizione. Oltre che sul piano mentale, il mutamento di status ha provocato effetti pure in senso pratico, come testimonia l’“intimità accidentale” – parole sue – delle registrazioni domestiche: “Dovevo cantare vicino al microfono, ci sono varie interferenze ambientali e a un certo punto il cane scuote il collare”.
Lo attesta in maniera eloquente l’iniziale “Child of Mine”, composta “mentre cullavo mia figlia di quattro settimane nella carrozzina”, ha confidato a “Uncut”: “Tu e papà danzate in cucina, la vita sta rallentando, ma è sempre uno sballo”, intona con voce flautata accompagnandosi alla chitarra.
L’esperienza del parto – “assolutamente psichedelica”, ha raccontato a “Mojo” – è il soggetto della seguente “Patterns”, ballata dalla consistenza altrettanto lieve: “Ho inarcato la schiena e sei uscita dal buio, dapprima piegata in avanti, astratta, tramutandoti ben presto in forma”.
Affiorano là gli “schemi che si ripetono” citati nel titolo, destinati a “non finire mai”: ecco allora in “Your Girl” la transizione dal ruolo materno a quello filiale. “Sarò sempre la tua ragazzina”, recita il testo su tenui accordi di pianoforte, “mi sento come una pedina in un paesaggio porno, se potessi chiamarmi con il mio vecchio nome, ricordami solo un’altra volta da dove sono venuta”, dice rivolgendosi al padre.
Ascendente influentissimo nel percorso artistico della protagonista, quest’ultimo, in passato proprietario di uno studio di registrazione e qui presente in veste di autore di “Looking Back”, brano meditabondo scritto in gioventù immaginandosi anziano: “Con l’età, oggi il mio corpo si è incurvato e contro la mia volontà mi devo arrendere”. Fu lui a introdurla nella sfera del folk, facendo cover di Neil Young, impronta musicale che ne ha indirizzato il cammino, lungo il quale ha incrociato poi la figura paradigmatica di Joni Mitchell: “Se non ci fosse stata lei, nemmeno io sarei esistita”, dichiarò nel 2017 al “Financial Times”.
Nella circostanza, se ne percepisce l’eco badando all’atmosfera da Laurel Canyon della squisita “Caroline”, resoconto di un rimpianto sentimentale espresso in chiave maschile: “Sei come una brace, una roccia tornata in vita, una canzone che ricordo solo adesso”, anche se “mi sono sposato e ho amato mia moglie, ho figli belli e grandi ora, e tutto sommato ho avuto una vita felice, ma non mi sono mai allontanato da te, vero?”. Si apprezza in particolare durante quell’episodio e nell’altro omonimo al disco intero il pregio dell’arrangiamento d’archi curato da Rob Moose e ispirato all’ascolto – “catartico”, secondo l’autrice – delle musiche di Leonard Bernstein per West Side Story nel periodo immediatamente successivo al lieto evento: uno dei pochi ingredienti aggiunti in fase di sovraincisione all’ossatura altrimenti essenziale del repertorio, dotato in sé della grazia evanescente che caratterizza ad esempio la tautologica “Lullaby” (“Dormi angelo mio, con me sei al sicuro”) e l’incantevole “No One’s Gonna Love You Like I Can” (“E se la vita è solo un sogno, farò in modo che significhi qualcosa di importante”).
“Voglio fare musica, ma non intendo andare di nuovo in tournée”, ha annunciato di recente Laura Marling: segno che le sue priorità sono cambiate. Agli appassionati, anziché concerti, offre gli argomenti esposti sulla piattaforma Substack, equiparando la scrittura di canzoni alla divinazione con i tarocchi.