È la Nona Sinfonia di Beethoven, nel bicentenario della sua prima esecuzione, la pagina scelta per celebrare i primi dieci anni dell’Orchestra Leonore, compagine che riunisce oltre cinquantacinque musicisti italiani e stranieri oggi impegnati a condividere il percorso decennale di un progetto artistico promosso da Fondazione Teatri di Pistoia con il sostegno di Fondazione Caript.
Una realtà il cui apprezzamento a livello internazionale è testimoniato anche dalla tournee che la vede protagonista nei prossimi giorni, partendo mercoledì 23 ottobre al Teatro Manzoni di Pistoia, per proseguire giovedì 24 ottobre nella Basilica di San Pietro di Perugia e venerdì 25 ottobre al Teatro Amintore Galli di Rimini nell’ambito della 75ª Sagra Musicale Malatestiana, per finire domenica 27 ottobre sul palcoscenico della Elbphilharmonie di Amburgo. In tutti i concerti l’Orchestra Leonore sarà affiancata dal Philharmonischer Chor Münche diretto dal maestro Andreas Herrmann, e dai solisti Nika Gorič (soprano), Natalya Boeva (mezzosoprano), Matthew Swensen (tenore) e Roberto Lorenzi (basso).
A guidare questa compagine troviamo la bacchetta di Daniele Giorgi, direttore apprezzato a livello internazionale oltre a essere fondatore e anima musicale della stessa Orchestra Leonore. Proprio in occasione di questo minitour del decennale abbiamo rivolto a Giorgi qualche domanda.
Come nasce l’Orchestra Leonore? E con quali scopi?
«L’idea per un progetto musicale ad ampio raggio con al centro un'orchestra di alto profilo nacque dall’incontro fra alcune persone che condivisero con grande convinzione ed entusiasmo la sfida che proponevamo. Il progetto nella sua interezza è l’esito felice e duraturo di una collaborazione fra Fondazione Caript e Fondazione Teatri di Pistoia. Leonore è un esperimento volto a dare concreta risposta ad alcune domande emerse con forza dalla mia esperienza di musicista: è possibile creare una compagine di primo livello nella quale non si respiri una sola molecola di routine? Come si coniuga il profilo internazionale di un ensemble con un concreto lavoro di costruzione del pubblico sul territorio? Può un progetto orchestrale che non attinge a fondi pubblici mantenere un respiro temporale ampio? È possibile oggi per un direttore d’orchestra coinvolgere i musicisti in un'attitudine interpretativa che vada oltre la competenza stilistica e la logica della “performance”, per approdare ad un recupero della necessità interiore da cui la musica come forma d’arte è emersa nella storia? Come risanare quella autoimposta frattura, al tempo stesso spirituale ed artigianale, che separa molta della musica composta oggi da quella della tradizione? C’è fuoco sotto la cenere?»
Dieci anni di attività cosa rappresentano per questa compagine e per Fondazione Teatri di Pistoia, realtà che promuove questa iniziativa?
«Una storia importante che parla di coraggio e realismo, di competenza, di slancio, di tanto lavoro e grandi soddisfazioni. Gli obiettivi che ci eravamo dati sono stati raggiunti e superati. Pensiamo a questi dieci anni come ad un buon inizio, c’è ancora molto da fare».
Quale significato riveste la scelta della “Nona” di Beethoven, a duecento anni dalla sua prima esecuzione, per celebrare i dieci anni dalla fondazione dell’Orchestra Leonore?
«Ci è parso significativo legare le due ricorrenze: da una parte i duecento anni dalla prima esecuzione della Nona, dall’altra i nostri primi dieci anni di storia. È stato inoltre un modo di realizzare una collaborazione con il Coro Filarmonico di Monaco a cui teniamo molto e con il quale nella primavera 2020 avevamo programmato alcuni concerti con il Requiem Tedesco di Brahms, poi annullati per la pandemia. Nella scelta poi ha senz’altro giocato anche la mia particolare “ossessione” per Beethoven, un compositore che non smette di sopraffarmi, sbigottirmi e commuovermi. La coerenza, la forza e l’indipendenza del percorso creativo di questo artista sono di grande ispirazione per lo sviluppo del nostro progetto».
Oltre alla dimensione internazionale, maturata per esempio con la collaborazione con il Coro Filarmonico di Monaco e la imminente trasferta ad Amburgo, l’Orchestra Leonore coltiva anche con particolare attenzione il rapporto con il territorio e le realtà musicali amatoriali. Un esempio, in questo senso, è rappresentato dal progetto Floema, ripreso recentemente dopo il periodo del Covid. Ce ne vuole parlare?
«Floema è appunto la risposta ad una delle domande di cui sopra. Ha come protagonisti musicisti dell'Orchestra Leonore, ma si tratta di un progetto d’impronta cameristica, all’interno del quale si vanno a toccare alcuni tasti chiave. In primo luogo si inverte il senso di marcia: non è il pubblico a muoversi verso i luoghi deputati alla musica, ma la musica che raggiunge il pubblico, spesso un pubblico lontano dalla musica d’arte, spesso in luoghi inconsueti. Per Floema commissioniamo molte nuove composizioni che dialogano con quelle del passato e che si confrontano con contesti reali e specifici rendendo possibile l’attiva collaborazione fra i professionisti e le realtà musicali amatoriali e studentesche espresse dal territorio. Inoltre abbiamo formato un’ampia rete di collaborazione con le scuole, con l’ospedale e con numerose associazioni, non solo culturali. Sono tutte strategie volte a far penetrare nel tessuto sociale la musica d’arte».
«Dobbiamo uscire dalla logica autodistruttiva dell’evento, del numero, per comprendere che il pubblico è fatto di persone e che l’obiettivo è aprire il loro quotidiano alla grande musica».
«Un compito che ci siamo dati e che portiamo avanti con il sorriso e con atteggiamento accogliente, ma senza rinunciare a mettere in evidenza i tratti di grandezza, di complessità e di profondità della musica d’arte. Il mondo musicale si trova ad affrontare una crisi di pubblico quantitativa, ma anche qualitativa, senza precedenti. Non esistono soluzioni globali, ma un'inversione di rotta può arrivare da realtà locali virtuose, dal lavoro sul territorio, dall’assumersi in prima persona il compito di formare e trasformare l’ambiente nel quale vogliamo vivere come artisti, da progetti di medio e lungo termine. Dobbiamo uscire dalla logica autodistruttiva dell’evento, del numero, per comprendere che il pubblico è fatto di persone e che l’obiettivo è aprire il loro quotidiano alla grande musica. Di riflesso, anche i teatri e le sale da concerto si riempiranno di persone più sensibili e appassionate».