L’assoluto relativo della Biennale Musica 2024
La prima settimana della frastagliata rassegna di musica contemporanea
Absolute Music: musica assoluta ossia tutta la musica non vocale, non teatrale e non elettronica presentata nelle tre precedenti Biennali Musica firmate da Lucia Ronchetti.
– Leggi anche: Le contraddizioni tra elettronica e jazz nella Biennale Musica 2024
Per il suo quarto e ultimo Festival Internazionale di Musica Contemporanea (il numero 68 nella cronologia biennalizia), la direttrice artistica vuole dare spazio al “significato della musica quale linguaggio autonomo e [al]lo statuto ontologico del suono”. Insomma, si parla di musica speculativa o non ancillare ad altre forme espressive ma, più banalmente, di tutta la musica “altra” rispetto alle tre edizioni precedenti, declinata in un programma frastagliato, decisamente meno rigoroso delle tre edizioni precedenti e con più di una licenza poetica (o variazione sul tema, se si vuole), che presenta un’articolatissima rassegna di musiche dall’antico alle frontiere più estreme del contemporaneo. Non mancano il jazz più sperimentale e ancora l’elettronica dopo l’edizione 2023, di cui riferisce a parte il collega Bettinello. Nel complesso, sembra una summa del triennio trascorso (molti sono i nomi che tornano) piuttosto che un percorso interamente originale quello della trentina scarsa di concerti organizzati in ben dieci cicli tematici, così tanti da far pensare che un tema, in fondo, non esiste. Il tutto è convogliato in un ponderoso catalogo di oltre 600 pagine fitte di saggi e testi, e colorato di un austero blu “absolute-music”, variazione del blu Klein appositamente creato per questa Biennale Musica.
Difficile orientarsi fra nomi e percorsi possibili ma un punto fermo è ovviamente la ”Leonessa d’Oro 2024”Rebecca Saunders, omaggiata con il concerto di apertura (ciclo “Polyphonies”) in un Teatro La Fenice in gran spolvero. Dal catalogo della compositrice britannica viene eseguito in prima italiana Wound (Ferita), composizione del 2022 commissionata da Fondazione musicale Ernst von Siemens Music Foundation, Orchestre de la Suisse Romande, Ensemble Intercontemporain, Casa da Música di Porto e Radio France. Wound è quasi un manifesto della concezione molto fisica o materica della musica di Saunders, che, nella seguitissima cerimonia di consegna del Leone d’oro nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, nel dialogo con Ed Atkins insiste molto sulla fisicità dell’esperienza musicale con abbondanza di metafore anatomiche (“Se penso alla musica penso al corpo”). Wound è un pezzo di furibonda fisicità tradotta in sonorità parossistiche e linee tese, privo tuttavia di una struttura limpida o chiaramente leggibile, soprattutto nello scambio dialogico fra l’Orchestra del Teatro La Fenice e i solisti dell’Ensemble Modern diretti da un energico Tito Ceccherini. Per la seconda parte, causa improvvisa indisposizione del previsto solista Leonidas Kavakos, obbligatorio il cambio di programma che prevedeva la prima italiana del Concerto per violino n.2 “Scherben der Stille” di Unsuk Chin. Malgrado un generoso catalogo di composizioni sinfoniche della compositrice si è curiosamente optato per una musica “a programma”, tutt’altro che assoluta come Puzzles and games, suite dall’opera Alice in Wonderland con ancora l’Orchestra del Teatro La Fenice perfettamente calata nella puntuta scrittura strumentale di Chin e il soprano Siobhan Stagg che si destreggia abilmente nei giochi verbali dello spiritoso libretto della stessa Chin con David Henry Hwang. Non si tratta certo di un match fra due primedonne della composizione contemporanea ma non si può non notale che l’applausometro del folto pubblico presente alla serata inaugurale pende nettamente a favore della scrittura più classica di Chin.
Ancora Rebecca Saunders torna nella seconda parte del concerto “bicefalo” inserito nel ciclo “Sound Structures” al Teatro Piccolo Arsenale. Saunders sceglie un altro titolo “organico”, Skull (Cranio), per la composizione co-commissionata dalla Biennale e presentata in prima italiana dall’Ensemble Modern in solitaria questa volta, sotto la concentrata direzione di Bas Wiegers. Skull è costruito su sinuose linee curve intrecciate in un accattivante tessuto strumentale, culminanti in un climax che segna anche il punto di svolta per una conclusione tutta sviluppata lungo linee sonore verticali. Lo precede la composizione in prima assoluta Sonic Ritual di Alice Hoi-Ching Yeung, giovane compositrice della Biennale College, per trio di percussioni dalla struttura poco lineare ma capace di suggestioni esotiche soprattutto nella parte finale. Nello stesso ciclo tornano le percussioni in Le noir de L’étoile ispirato a Gérard Grisey dai suoni delle pulsar scoperti grazie all’incontro con l’astronomo e cosmologo Joseph Silk a Berkeley nel 1985. I suoni registrati e la trasmissione di segnali astronomici integrano e si riverberano nei gruppi di percussionisti (il quartetto dell’Ensemble This-Ensemble That, Federico Tramontana e Aleksandra Nawrocka della Biennale College) distribuiti su sei piattaforme poste attorno al pubblico assiepato nel cinquecentesco spazio delle Tese all’Arsenale. Pezzo di indubbia suggestione siderea, alla quale concorre non secondariamente l’organizzazione quasi teatrale dello spazio performativo.
Non sorprende trovare nello stesso contenitore di “Sound Structures” un concerto interamente consacrato ad Antonio Vivaldi e a una selezione di concerti dall’Estro Armonico op. 3 (per amore di precisione, i concerti numero 1, 2, 4, 8 e 10). Una scelta pertinente poiché questo ciclo vivaldiano, secondo il catalogo, “segna l’apice di un processo di emancipazione della musica strumentale dalla dipendenza dalle forme vocali, districando definitivamente la scrittura musicale dai vincoli della parola” e coerente con la cifra dell’era Ronchetti alla Biennale Musica, che spesso ha creato ponti fra la creazione contemporanea e la grande civiltà musicale veneziana con il coinvolgimento di compagini musicali locali. Per il concerto davvero prezioso nella settecentesca Chiesa della Pietà, la chiesa del prete rosso, protagonista è stata la Venice Baroque Orchestra diretta con la ben nota competenza stilistica e spericolatezza da Andrea Marcon al cembalo che esalta il virtuosismo degli straordinari musicisti dell’ensemble veneziano e specialmente del “Konzertmeister” Gianpiero Zanocco e del primo violoncello Massimo Raccanelli.
Ancora musica antica in “Musica reservata” nella sontuosa Sala Sansoviniana della Biblioteca Marciana in un programma per due viole da gamba e violoncello dall’impaginato stimolante con la novità Tous les mondes di Isabel Mundry racchiusa fra due Sonate a tre di Benedetto Marcello. Cancellato a sorpresa il pezzo di Mundry, nonostante l’impegno dei due gambisti Cristiano Contadin e Giulio Tanasini (quest’ultimo della Biennale College Musica) e del violoncello Massimo Raccanelli, il programma risulta molto sbilanciato sul barocco non particolarmente vario di Marcello, al quale viene aggiunta l’unica, modesta novità della versione per viola da gamba della fin troppo nota Lamentatio di Giovanni Sollima riproposta con grande impegno tecnico dal gambista Tanasini in solitaria.
Serata musicale non felicissima, ampiamente riscattata dai due momenti alti del ciclo “Counterpoints” presentati entrambi nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian. Il primo propone un intrigante accostamento fra daisy di David Lang, in prima assoluta, e Black Angels di George Crumb, oggi quasi un classico, composto “in tempore belli 1970” nel pieno della guerra del Vietnam. Comune fra le due composizioni per quartetto d’archi è il “tempus belli”, humus di immutata fertilità tanto per Crumb quanto per Lang. Per contraddire l’assunto di musica assoluta, daisy prende a prestito il titolo dall’apocalittico spot pubblicitario “Peace, Little Girl” (ossia “Daisy, little Daisy”) utilizzato nella campagna del 1964 del democratico Lyndon B. Johnson contro il repubblicano Barry Goldwater. Una scelta non priva di amara ironia amara, poiché Johnson, da Presidente degli Stati Uniti numero 36, autorizzò la massiccia escalation della presenza di militari americani in Vietnam. Nettamente diviso in due parti che si aprono in maniera simmetrica con un delicato tema dei due violini, il quartetto di Lang presenta due esiti opposti, con una nota di rasserenante ottimismo nella seconda parte che si sviluppa attorno all’idea della “second daisy” ossia quella creduta, valorizzata sostenuta e preservata. Di forma meno rigorosa ma di vitale ispirazione Black Angels. Thirteen Images from the Dark Land di Crumb che trova degli interpreti ideali nella straordinaria versatilità anche performativa dell’Attacca Quartet, che sono Amy Schroeder e Domenic Salerni, Nathan Schram e Andrew Yee, sollecitati dalla scrittura di Crumb ad acrobatiche performance strumentali e a trascendentali parentesi sonore su bicchieri musicali.
Non sono nuove invece le due composizioni dell’ucraina Galina Ustvolskaya presentate anche nella Sala delle Colonne da una particolarmente ispirata Patricia Kopatchinskaja, violinista scalza, accompagnata con perentoria autorità interpretativa da Markus Hinterhäuser al pianoforte. Allieva di S̆ostakovič – ma indicata da quest’ultimo anche come sua insegnante per l’originalità dell’ispirazione – e osteggiata dal regime sovietico per non conformità all’estetica ufficiale. La serata si apre con Sonata del 1952 costruita attorno a un martellante motivo del violino ripetuto con movimenti irregolari che veicolano inquietudini profonde. Duetto del 1964 è fatta di un tessuto più scabro e ruvido, l’espressione è brutale e disperata: “Qui non c’è posto per la bellezza” scrive Kopatchinskaja, “per raggiungere la potenza espressiva di questa musica, l’interpretazione deve spingersi agli estremi.” Coerente con queste parole, la coppia Kopatchinskaja e Hinterhäuser non fa semplicemente musica ma trasforma la serata in una lancinante esperienza nel dolore. È la grandezza di quando la musica si fa davvero assoluta.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Un memorabile recital all’Accademia di Santa Cecilia, con Donald Sulzen al pianoforte