KOKOKO! Una notte a Kinshasa
Butu, fra elettronica e ritmi locali, è stato concepito nel caos della Repubblica Democratica del Congo
Dal marasma politico e sociale in cui si dibatte la Repubblica Democratica del Congo affiora ciò che potrebbe esserne adeguata colonna sonora: un disco intitolato Butu (“notte” in Lingala, idioma di ceppo Bantu).
Ne sono artefici i KOKOKO!, definiti da un’onomatopea equivalente a “bussare”: in origine collettivo che animava feste nei sobborghi della capitale servendosi di strumenti autocostruiti per necessità, utilizzando materiali di scarto.
Lo aveva intercettato nel 2016 il produttore francese Xavier Thomas, alias Débruit: «Mi ha impressionato sentire cose che ricordavano il punk funk o l’house newyorkese degli anni Ottanta, ma con suoni e ritmi appartenenti ai vari gruppi etnici del posto», disse tempo fa.
Dotando quel materiale di un supplemento elettronico, nel 2019 realizzò insieme a loro l’album Fongola, manifesto di ciò che chiamavano “tekno kintueni” (il secondo termine allude a un genere locale più dinamico di rumba e soukous), affine alle imprese dei connazionali Konono N° 1 e Mbongwana Star. In seguito alla diaspora che ha portato due fuoriusciti a fondare lo Ngwaka Son Systéme, la titolarità del marchio è rimasta al vocalist Makara Bianko, ora autore del nuovo lavoro in coppia con Débruit: «Ci ispiriamo ai suoni di Kinshasa: gente che vende smalto per unghie, benzina, sigarette, calzolai, qualsiasi cosa», ha dichiarato presentandolo.
Ne è dimostrazione eloquente, in apertura, “Butu Ezo Ya”, introdotto dal rumore dei clacson e dal chiacchiericcio dei passanti cui si sovrappone un brutale riff sintetico sul quale imperversa poi con impeto crescente la voce. Esprime attitudine “da strada” anche il successivo “Bazo Banga”, derivazione di uno slogan da stadio (“Sono spaventati”) articolato come un canto rituale sulla cadenza imperiosa di un basso post punk.
L’alchimia musicale di Butu è frutto della combinazione fra strumenti atipici – il padellame impiegato in chiave ritmica durante “Salaka Bien”, ad esempio – e altri convenzionali, in particolare il sintetizzatore usato nella creazione dei cavernosi bordoni che sorreggono il rissoso botta-e-risposta di “Kidoka” e la veemenza da barricata di “Motema Mabe”, assecondata da un arpeggio dal vago sapore esoterico.
Il ventaglio delle possibilità include inoltre la trance febbrile di “Donne Moi” e “Motoki”, lo spleen da suburbia di “Mokolo Likambu” e l’house equatoriale di “Elingi Biso Te”, manifestando spirito panafricano nelle sponde offerte al kuduro angolano (“Nasali Nini”) e al kwaito sudafricano (“Mokili”).
Urgente ed efficace su disco, la musica dei KOKOKO! immaginiamo diventi incontenibile forza della natura dal vivo: verifica a inizio agosto in Sicilia, nel corso del festival Ortigia Sound.