De Andrè, un genovese mediterraneo a Napoli
’Na strada ’mmiez’o mare. Napoli per Fabrizio De André rilegge Crêuza de mä in napoletano
Usiamo la definizione “classico” per qualcosa che fa riferimento al mondo dell’arte, o comunque dell'ingegno umano, da quasi duemila anni. Nel secondo secolo d.C. quella parolina controversa la coniò Aulo Gellio, ed il riferimento era, appunto “classista”: era classico e degno, dunque, quanto potesse permettersi una “classe” ben fornita di censo, di presenza economica.
Attraverso diversi e curiosi snodi, la parola è arrivata fino a noi. Il significato più vicino alle nostre intenzioni e ai nostri propositi, oggi (e da Goethe in avanti) è che un classico sa abitare comodamente il proprio presente, al contempo non scordando il passato, e indirizzando antenne curiose verso il futuro.
In effetti funzionano così le opere di Shakespeare, quelle di Dante, di Borges o di Virgilio, abitatori incolpevoli di epoche diverse. Funziona allo stesso modo in musica, e perfino nella popular music, almeno, quella più prensile nei confronti di sollecitazioni che popular non sono, o lo sono parzialmente: pensate a Sgt. Pepper dei Beatles, o quel perturbante capolavoro, oggi alla boa del quarantennale, che fu ed è Crêuza de Mä.
Svanita l'austera e reificante aura museale che a lungo ha infestato De André, com’è stato ben segnalato da qualche studioso attento, ora si possono trarre bilanci e fare considerazioni, ma anche parlare del presente. Crêuza de mä fu davvero un classico inconsapevole voluto nel cuore degli anni dell' "edonismo reaganiano” e della “Milano da bere”, in direzione ostinata e contraria, per dirla con Faber, o, meglio, col suo mentore Álvaro Mutis.
Crêuza de mä fu un punto di svolta, un punto e a capo, un punto lanciato nell'infinito del pop e della canzone d'autore a costruire una linea retta fatta di infiniti punti.
Fu un punto di svolta, un punto e a capo, un punto lanciato nell'infinito del pop e della canzone d'autore a costruire una linea retta fatta di infiniti punti. I suoi due limiti, far riferimento a una lingua che nessuno capiva, un genovese quasi inventato, e una musica che nessuno conosceva, un mazzo di aromi mediterranei anch’essi (quasi) inventati che nessuno nel grande pubblico sospettava diventarono punti di forza.
Ecco, qui potrebbe fermarsi il discorso: perché finalmente esce la testimonianza discografica, per Nota Records, di due serate memorabili tenutesi nel cortile del Maschio Angioino il 14 e 15 settembre del 2015: ’Na strada ’mmiez'omare / Napoli per Fabrizio De André. Crêuza de mä ricantato e risuonato per intero.
Artefici del tutto Annino La Posta, che ha curato la direzione culturale del progetto e lo ha condiretto artisticamente con Dario Zigiotto. lI tutto sotto i buoni auspici di Comune di Napoli, Club Tenco, Fondazione De André.
Protagonisti, per il Faber / Pagani ricantato e risuonato, ma tradotto in napoletano: Teresa De Sio, Francesco Di Bella, Gerardo Balestrieri, Enzo Gragnaniello con Mimmo Maglionico, Maldestro, Nando Citarella, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Bella schiatta d'artisti: in quel momento in buon equilibrio tra nomi storici e emergenti all’affaccio.
Esiti notevoli, interessanti, in qualche caso clamorosi. E la segnalazione tecnica che ’Na strada ’miezz’o mare è traduzione assai più vicino al vero, letterale significato di Crêuza de mä di quanto si creda.
Qui torniamo al punto “classico”: ciò che è diventato tale permette, accoglie, rilancia ogni rilettura, preservando misteriosamente il proprio essere unico, e rilanciando all'infinito la possibilità di identità multiple, plurivoche, e perfettamente legittime. Incremento di bellezza, non diminutio.