La riscoperta di Draghi, protagonista della musica del secondo Seicento
Due suoi oratori eseguiti a Roma da Flavio Colusso e dalla Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima
In quanto maestro di cappella prima dell'imperatrice vedova Eleonora Gonzaga Nevers e poi dell’ “Imperatore dei Romani” Leopoldo I, Antonio Draghi fu uno dei protagonisti della musica degli ultimi decenni del Seicento, eppure si conosce ben poco sia della sua vita che della sua musica. Nacque a Rimini nel 1634 35, studiò forse a Roma, lavorò per breve tempo a Mantova e Venezia, si trasferì definitivamente a Vienna nel 1658 e lì morì nel 1700. Compose una quantità impressionante di musica. Più di cento sono i “drammi per musica”, di cui pochi sono giunti fino a noi integri, mentre alcuni sono mutili di un atto o due e la maggior parte è interamente perduta. Inoltre scrisse decine di altre composizioni da rappresentarsi in forma scenica ma più semplici e brevi, come le “serenate” e le feste teatrali. Relativamente minore ma sempre ingente è la quantità della sua produzione sacra.
Solo una minima parte di questo patrimonio musicale è stata eseguita in tempi moderni, ma è bastata a riaccendere l’interesse per Draghi. Da qualche anno alle iniziative sparse si è affiancato un progetto più organico, che ha come capofila l’associazione Musicaimmagine e come collaboratori vari partner italiani e austriaci ed è mirato alla riscoperta, edizione, esecuzione ed incisione (il primo cd è già stato pubblicato) della musica sacra di Draghi, ovvero i nove oratori superstiti, le due monumentali Messe, lo Stabat Mater e due Inni (restano esclusi i moltissimi “Sepolcri”). Ora Musicaimmagine ha presentato due dei suoi oratori a Roma, diretti dall’ideatore di questo progetto, Flavio Colusso, che è anche il direttore della Cappella Musicale della Chiesa di Santa Maria dell’Anima, dove si è svolto il concerto.
Gli oratori prescelti appartenevano ai primi anni del periodo viennese di Draghi ma i loro caratteri stilistici sono rappresentativi di tutta la sua produzione in questo genere musicale. Il concerto iniziava con la scena finale di Sant’Agata (1675). La drammaticità del momento della morte della santa viene assorbita e sublimata dal testo devoto, che immagina che ad Agata (mezzosoprano) appare San Pietro (baritono) che guarisce le sue piaghe, ma il prefetto romano (baritono) le infligge un nuovo supplizio e la martire si avvia serenamente alla morte, che le aprirà le porte del cielo. Gran parte della scena è musicata come un recitativo semplice ma intenso, cui sono sufficienti piccole inflessioni per esprimere senza tanti artifici ma con naturalezza e sincerità gli “affetti” della protagonista, cui spettano anche le due bevi arie di questa scena, che s’innestano con la loro delicata melodia direttamente sul recitativo. Il coro (qui cantato a parti reali) conclude con due versi moraleggianti: “la vita è un fumo”.
Questo è lo stile della seconda metà del diciassettesimo secolo, così diverso da quello codificatosi nei decenni successivi e dalla sua regolare successione di recitativi e grandi arie col da capo, deputate anche allo sfoggio del virtuosismo dei grandi cantanti: in genere è questo che viene oggi considerato lo stile barocco in musica, ma in realtà il vero barocco è quello dell’epoca precedente, quella appunto di Draghi, che tocca gli affetti (in questo caso affetti pii e devoti) dell’ascoltatore con una semplicità che può essere soave o anche drammatica.
Il concerto proseguiva con il primo oratorio in assoluto di Draghi, che lo compose subito dopo il suo arrivo a Vienna nel 1668. È l’Oratorio di Giuditta, che narra la storia erotica e sanguinosa della giovane vedova Giuditta, che salvò gli ebrei dagli assiri invasori, uccidendo nel sonno il loro comandante Oloferne. Sul modo da lei usato per stancarlo e farlo cadere in un sonno così profondo l’anonimo autore del testo dell’oratorio tace pudicamente, ma ci gira intorno in modo così insistente da vellicare inconsapevolmente (?) la curiosità morbosa dell’ascoltatore del Seicento.
Le due parti che lo compongono durano in tutto poco più di mezz’ora e la narrazione, divisa tra la voce del Testo e quelle dei tre protagonisti di questa storia biblica, è rapida e concisa e dà un serrato passo drammatico alla musica, toccando una varia ed ampia gamma di affetti. Ricca di vocalizzi, seppur relativamente semplici rispetto a quelli del secolo successivo, è la prima aria di Giuditta (soprano), che chiede la vendetta del Cielo contro gli assiri; dolente è il recitativo con cui risponde ai rimproveri della madre Abra (mezzosoprano), che le rivolge parole mordaci e irate. Ma, come spesso capita, il personaggio scolpito in modo più icastico è il cattivo, ovvero Oloferne (baritono), che ha un canto robusto e fisico nella sua prima aria e dolce e placato nella seconda, quando, ignaro di quel che sta per succedergli, si addormenta felice al fianco di Giuditta, che ne propizia il sonno con parole ingannevolmente suadenti e sensuali. Chiude l’oratorio il ritmo scandito dell’esultante coro finale, che glorifica Dio. Una particolarità sono i brevi ariosi che concludono i recitativi dei solisti.
Flavio Colusso conosce bene questo stile musicale, ne coglie i tanti piccoli ma fondamentali dettagli e, senza calcarli troppo, li mette nella giusta luce e ridà anima e vita a questa musica, che non corrisponde all’idea schematica del barocco musicale che si ha oggi. Gli elogi vanno estesi agli ottimi strumentisti della Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima (due violini, violoncello, tiorba, clavicembalo e organo positivo) e agli eccellenti solisti di canto, il soprano Maria Chiara Chizzoni (Giuditta), il mezzosoprano Gaia Petrone (Agata e poi Abra), il baritono Mauro Borgioni (San Pietro e Oloferne) e l’altista Antonio Giovannini (il Prefetto e il Testo, che in altre occasioni ha dato ottime prove di sé ma questa volta era in cattive condizioni di salute e ha generosamente deciso di partecipare egualmente al concerto, che altrimenti avrebbe dovuto essere annullato).
Il pubblico che riempiva la chiesa è stato giustamente prodigo di applausi per Draghi e i suoi eccellenti interpreti.
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