Torna a risplendere la musica sacra di Alessandro Melani
A Roma un concerto porta alla luce un patrimonio musicale sconosciuto
Oggi Alessandro Melani è ricordato quasi soltanto per il suo Empio punito, la prima opera sul mito di Don Giovanni, che viene rappresentata molto raramente, sebbene per una strana coincidenza qualche anno fa sia andata in scena a distanza di una sola settimana a Roma e a Pisa e Pistoia .
Nato a Pistoia nel 1637, Melani trascorse gran parte della sua vita a Roma, dove dal 1667 fu maestro di cappella della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e dal 1672 anche di San Luigi dei Francesi, mantenendo entrambi gli incarichi fino alla morte, avvenuta nel 1703. Un assaggio della sua musica sacra, che giaceva dimenticata negli archivi, è stato ora offerto da un prezioso concerto in San Luigi dei Francesi, reso possibile dal mecenatismo dell’ambasciata di Francia presso la Santa Sede e dell’ambasciata del Belgio e organizzato da Roma Barocca in Musica e Roma Festival Barocco.
Tutto è stato preparato nel migliore dei modi. Si è anche ricreate il suggestivo ambiente in cui veniva ascoltata la musica sacra di quelle epoche lontane, illuminando la chiesa con centinaia di candele e costruendo in fondo alla navata centrale una scenografia ideata da Philippe Casanova, che si è ispirato agli apparati che venivano allestiti nella Cappella Paolina nelle occasioni solenni. I cantori hanno attraversato in lenta processione la chiesa immersa nella penombra, intonando la prima parte di un “Salve Regina”, che poi avrebbero eseguito per intero alla fine del concerto come fuori programma. Cantori e strumentisti si sono quindi disposti davanti alla “macchina” scenica e hanno dato inizio al concerto vero e proprio con le Litanie “Le Pasquine”, chiamate così perché dedicate a Bernardo Pasquini: sono dolcissime cantilene in stile semplice e dimesso ma raffinato, che evita la complessità esibita e crea “un clima d’intima partecipazione emotiva, in una dimensione sonora estranea alla solennità impersonale di tante pagine coeve”, come scrive Luca Della Libera nel programma di sala. Poi una “Regina Coeli” che offre l’incanto di due soprani - allora erano sicuramente voci bianche - che si staccano dal coro e si pongono l’una al centro della navata e l’altra sul pulpito, intonando un dialogo fatato, la cui delicata ornamentazione anticipa la vocalità del pieno periodo barocco ma con un’emozione, un’eleganza e una misura che poi spesso si perderanno.
Seguiva la Messa “La Cellesa”, il cui manoscritto, datato 1670, è stato scoperto e trascritto da Luca Della Libera. Probabilmente fu composta in memoria di Lucrezia Cellesi, cognata del papa Clemente IX, pistoiese come Melani e suo protettore. Questo ne spiegherebbe le dimensioni imponenti, per la durata e soprattutto per l’organico di quattro cori, dunque in stile policorale, che in genere è considerato tipico della scuola veneziana ma era ampiamente usato anche a Roma: basta entrare in una chiesa barocca romana e alzare gli occhi per accorgersi che ci sono due, quattro e anche sei cantorie, testimonianza inequivocabile dell’uso della policoralità. In questa Messa si trovano riuniti stilemi antichi e armonie audaci. Tra una sezione e l’altra e anche all’interno di una stessa sezione della Messa cambiano radicalmente stile e carattere. Il Kyrie, lungo ed elaborato, presenta una complessa struttura contrappuntistica, che fa andare col pensiero a Bach, mutatis mutandis. Il Credo colpisce invece per la varietà di accenti: particolarmente notevole è la forte e contrapposta connotazione emotiva di due frasi contigue quali “homo factus est” e “passus et sepultus”. Né mancano passaggi solistici, duetti e terzetti che rivelano la mano di un compositore attivo anche in campo operistico.
Questo concerto poteva risolversi nella soddisfazione di una mera curiosità musicologica e invece ha rivelato una musica di oggettiva bellezza, che offre anche intime emozioni, assolutamente rare nella musica sacra del periodo. È stata una scoperta anche per un grande conoscitore e interprete della musica barocca qual è il direttore di questo concerto, Leonardo García Alarcón, che ha espresso l’intenzione di incidere queste musiche. Il merito dell’ottima esecuzione va equamente diviso tra lui e due gruppi che definire eccellenti è poco, ovvero la Cappella Mediterranea – a cui appartenevano gli strumentisti e i sei solisti vocali Alice Borciani, Mariana Flores, Davis Sagastume, Valerio Contaldo, Andreas Wolf e Matteo Bellotto – e il Choeur de Chambre de Namur.
Le richieste di posti sono state tali che si è deciso di eseguire due volte il concerto, inizialmente previsto per una sola serata, ed entrambe le volte il pubblico ha riempito la non piccola chiesa e ha applaudito con grande calore. Nell’ombra di una cappella laterale ascoltavano anche le tre tele di Caravaggio custodite in San Luigi de’ Francesi e sicuramente Caravaggio stesso avrebbe ascoltato con interesse queste musiche.
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