Il Salento elettrico di Maria Mazzotta
Nel nuovo album Onde la cantante salentina mescola tradizione e suoni rock con intelligenza
In bilico esatto tra polpa sonora di fiera origine popolare e materiale di composizione, il nuovo disco di Maria Mazzotta – e fin qui non ci sarebbe nulla di che – offre un connubio ormai consueto che serve a non musealizzare certe note che hanno fatto in tempo a sedimentarsi in centinaia di incisioni.
La novità arriva quando, partendo da quella sostanza “trad”, si realizza non una fusione a freddo, ma qualcosa di reattivo che ha dell'alchemico, nel senso che trasforma una materia in un’altra.
Molto ha rischiato con questo disco Mazzotta, e ha visto lontano: i “pensieri lunghi” fanno viaggiare l'intelligenza sonora, a costo di strappare qualche malevolo pre-giudizio di chi vorrebbe tutto incatenato a un paesaggio sonoro mitizzato fossile e inscalfibile, peraltro mai esistito.
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Prima di addentrarci in Onde, titolo riferito al viluppo di tragedia e speranza, orrore e rinascita che rappresenta in questi tempi il Mediterraneo degli “emigranti per forza”, vale la pena di ricordare almeno qualche tratto del percorso di Mazzotta.
Appena maggiorenne nel Canzoniere Grecanico Salentino, a cavalcare con la voce un’altra onda forte e spesso drammatica, anche se a noi è rimasto solo il senso della festa: quello della pizzica tarantata.
Quindici anni passati in un soffio, ma qui si innesta un ricordo che dà conto di quanto sarebbe successo: lei, la vocalist che incarnava la “possessione del suono” cantato sul battere implacabile dei tamburi a cornice poi, in una vita né parallela né in opposizione appena poteva si andava a ascoltare i CSI e i Marlene Kuntz. Perché le identità sono sempre multiple e dialoganti anche all'interno di se stessi, e chi è cresciuto nel Salento non vuol dire che non abbia nelle orecchie anche i watt delle chitarre elettriche distorte o il crepitare dei glitch elettronici. Tutto sta in relazione a tutto.
Poi è arrivata la carriera solistica, e una decade d'anni in giro per le capitali della musica, prima di questo approdo quasi “necessario”. Un trio elettrico tanto minimale nei numeri quanto imperioso nel volume complessivo, nelle timbriche, nelle sferze sonore innescate.
Lei con la sua voce e i tamburelli, Cristiano Della Monica alla batteria e agli effetti elettronici, Ernesto Nobili con una chitarra elettrica (e una baritona) davvero infiammate. Con un potenza che sembra debitrice in parte della psichedelia più avvampante, in parte di certe sciabolate metal, quelle che anche Steven Wilson ama inserire, perché parte del proprio personale soundscape.
Gli esiti? Sorprendenti e convincenti al primo ascolto, quando parte l'incanto puro, già assai coinvolgente di "La Furtuna". In "Sula nu puei stare" entra, ospite, il magnifico chitarrista nigerino Bombino, ed è un desert blues elettrico terzinato con echi di buleria e di Andalusia.
"Marinaresca" è un omaggio asciutto a Roberto De Simone, l'uomo che aperto molte porte a chi voleva camminare nei saloni delle note orali, "Pizzica de core (Malencunia)" è invece un palpitante tributo d'autore a Daniele Durante e al Canzoniere, un crescendo trance che non può lasciare indifferenti, "Terra ca nun senti" ricorda ancora una volta (e ce n'è bisogno) la figura ruvida e necessaria di Rosa Balistreri.
Non è ancora tutto: in "Canto e sogno" entrano tromba e flicorno di Volker Goetze, ed è un percorso onirico. Porterà lontano, questo viaggio elettrico.