Sono passati quattro anni e mezzo dal suo precedente disco solista lapidariamente intitolato Volume Quattro ma nel frattempo Paolo Spaccamonti, chitarrista e compositore torinese, non è rimasto con le mani in mano.
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Oltre al progetto Spano in compagnia di Stefano “Fano” Roman, concretizzatosi in un album nel 2021, ha creato sonorizzazioni dal vivo di film muti prodotte dal Museo Nazionale del Cinema di Torino ed eseguite con altri musicisti – tra cui segnalo Riccardo Sinigallia, Stefano Pilia, Ramon Moro, Laura Agnusdei e Adrian Utley dei Portishead – e lo scorso anno è stato impegnato nel fortunato tour teatrale di Lazarus, il musical scritto da Enda Walsh e David Bowie e diretto in Italia da Valter Malosti.
E ora, quasi a sorpresa, ecco arrivare Nel torbido, il suo nuovo lavoro solista che ci consente di immergerci nuovamente in quelle sonorità chitarristiche a noi care.
A forza di leggere nelle recensioni che la sua è una chitarra cinematografica, Spaccamonti ci ha creduto e ne ha fatto uscire un secondo lavoro, specializzandosi in “colonne sonore a posteriori”, una maniera un po’ più calda di definire le sonorizzazioni.
«In effetti è vero, ho cominciato nel 2010 e oramai ne ho già fatte sette e sto lavorando all’ottava. Il Museo Nazionale del Cinema mi ha aperto un mondo che non conoscevo e gliene sono grato. Non ho un approccio standard a questo tipo di lavoro, dipende dal film, dal contesto e dal gruppo di lavoro.
Per il film Vampyr di Dreyer ho lavorato con Moro e siamo stati abbastanza didascalici, mentre per L’uomo con la macchina da presa di Vertov, film piuttosto schizofrenico, con Pilia abbiamo per forza di cose lavorato maggiormente sull’improvvisazione.
I tempi per la realizzazione di queste sonorizzazioni variano a seconda del film e dei musicisti con cui lavoro: per fare un esempio, per quella di Vampyr Ramon e io ci abbiamo messo circa tre mesi, è stato un bel lavoro, ci siamo divertiti».
La settantina di date di Lazarus avranno avuto un impatto sulla scrittura dei sei brani che compongono questo disco nuovo? Si è portati a credere di sì e invece: «No, semplicemente perché li avevo già scritti, anzi ne avevo scritti ben di più e poi ho provveduto a sforbiciare, ad asciugare, fino ad arrivare al formato finale. In origine avrebbe dovuto essere più lungo ma non averci più lavorato per andare in tour con Lazarus mi ha permesso di essere più obiettivo quando ci ho rimesso le mani e di concentrarmi maggiormente sull’omogeneità».
«Addirittura sono andato a recuperare due brani che in prima battuta avevo scartato perché ho capito che erano funzionali all’unità omogenea che volevo raggiungere. La collaborazione, che va avanti da anni, con Gup Alcaro, il progettista sonoro di Lazarus, ha fatto sì che la produzione finale avesse un sapore teatrale. Ecco, questa, se vogliamo, è stata l’unica influenza del musical su questo nuovo album: quindi non sulla scrittura ma parzialmente sulla forma».
«Sono stati senza dubbio quattro mesi pazzeschi, entusiasmanti, che tra l’altro hanno messo a dura prova la mia resistenza fisica: suonavamo praticamente ogni sera, in teatri importanti e quindi con una certa pressione addosso. Devo dire che lavorare con Agnelli è stato molto bello, una rivelazione: lui è molto professionale ma nei momenti liberi è una persona molto divertente che sa fare gruppo. Mi sono trovato benissimo e poi, non dimentichiamolo, suonavo i pezzi di un certo David Bowie, non proprio l’ultimo arrivato».
Se non avete assistito allo spettacolo Lazarus, poco male perché fra poco il tour riprenderà e potrete recuperare; nel frattempo ecco l’esibizione a Propaganda Live.
Nel torbido è un titolo preso in prestito da una battuta di Tony Curtis nel film del 1959 Operazione sottoveste («Nel torbido si pesca meglio») ed è un po’ quello che è successo a Paolo perché durante il periodo buio del lockdown e dei mesi immediatamente successivi sono arrivate delle richieste per la creazione di sonorizzazioni di opere teatrali, a dimostrazione che a volte i periodi di crisi danno vita a nuove opportunità.
Nel novembre del 2020 arriva la richiesta di sonorizzare il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino: il museo è vuoto, è l’ora della colazione ma non una qualsiasi, questa è la colazione dei campioni. La scelta del luogo non è casuale: tutti quanti speriamo in una rinascita e Spaccamonti, al riparo del suo giubbotto di pelle nera, crea una suite intrisa di malinconia e speranza sotto gli sguardi muti dei Padri della Patria.
Sei tracce per una durata di circa 30 minuti, più un EP che un album a voler fare i precisini: «Sì, chiamalo come vuoi, ma avrai certamente visto che da un po’ di tempo a questa parte soprattutto i rapper fanno dischi da 15, 20 minuti. C’è la tendenza a vedere l’EP come un prodotto minore, meno curato rispetto all’album: non è il mio caso, Nel torbido ha tutte le caratteristiche dell’album, solamente con una durata ridotta rispetto alla media, per quel discorso che ho già fatto dell’omogeneità. Poter fare quello che si vuole è una delle poche cose belle di questo periodo – posso? – di merda; del resto la fruizione della musica è totalmente cambiata rispetto a qualche anno fa e con essa anche i supporti fisici e le durate dei lavori. Nel torbido uscirà solo su vinile e in versione digitale, al momento non è previsto il CD».
Se l’hanno fatto Tierra Whack, Noname, Little Simz e Earl Sweatshirt, perché non può farlo anche Spaccamonti?
Siamo di fronte a un disco di un compositore che suona la chitarra, dove la chitarra è un mezzo («hai presente quei dischi di sola chitarra? Bene, mi annoiano a morte»); sei brani strumentali e qui mi pongo una domanda: non avendo testi e non raccontando storie in maniera “letteraria”, i titoli dei brani strumentali nascono a caso per evocare suggestioni oppure ci sono motivazioni nascoste? Spaccamonti ride, anche perché ho scritto “a caso” ma in realtà ho usato un’espressione simile ma decisamente volgare: «Nel mio caso ci sono spesso motivazioni ben precise: se prendiamo l’iniziale “Salina”, il riferimento è a un lavoro di sonorizzazione fatto col duo artistico Masbedo al Museo Salinas di Palermo.
Volevo che in qualche modo rimanesse traccia di quell’esperienza. “Ha ragione la notte” arriva da Yoga, un libro di Emmanuel Carrère, è una frase che mi è arrivata dritta in mezzo agli occhi. Quando qualche frase mi piace me l’appunto e quando ho un brano nuovo vado a vedere se ce n’è qualcuna particolarmente adatta a diventarne il titolo. In questo caso sono soddisfatto perché secondo me questa frase è adatta all’atmosfera notturna del brano e sono contento che per te sia una delle vette del disco perché me lo stanno dicendo in pochi e anche secondo me è uno dei pezzi migliori, anche grazie all’eccellente lavoro di Julia Kent al violoncello».
«“I sogni non servono” – prosegue Spaccamonti – è una frase pronunciata a tavola da mio padre alcuni anni fa, probabilmente dopo una notte caratterizzata da incubi, e che ho subito trascritto su un bloc-notes. “L’amore che strappa”…boh, non so, è una mezza citazione di De André, anche se in realtà non sono un suo fan. Lo so, non sono uno che dà soddisfazione ai giornalisti, sono banale e superficiale (risate), non ci sono chissà quali retroscena dietro ai titoli. Vuoi sapere se questo amore che strappa c’è? No, non c’è, c’è stato, forse, poi s’è strappato (risate)».
Il disco sarà presentato in anteprima nel corso di una release party che si terrà l’11 maggio al Magazzino sul Po a Torino e poi via via saranno annunciate le successive date del tour in giro per l’Italia in compagnia del musicista Andrea Cauduro, caratterizzato da una presenza maggiore dell’elettronica rispetto a quelli del passato. Sono tre anni che Spaccamonti non suona dal vivo il suo materiale: se capita dalle vostre parti, non fatevi sfuggire l’occasione, anche perché Nel torbido è un disco importante e, quel che più conta, bello in maniera straziante. Di uno che prima di addormentarsi ascolta i Talk Talk e i Beach House direi che ci si può fidare.
P.S. Un particolare molto bello che Paolo mi ha raccontato con commozione: Nel torbido è il primo disco a essere pubblicato dalla sua etichetta, Liza, e Liza è il nome con cui sua madre è chiamata in casa. Ricordate l’origine del titolo del disco? Bene, Tony Curtis è il nome con cui suo padre era chiamato in casa. Come diceva Bob Dylan? Bringing It All Back Home.