Boccherini, chi era costui?
Quasi una riscoperta il magnifico concerto di Fabio Biondi ed Europa galante alla IUC di Roma
Luigi Boccherini ha avuto una vita sfortunata: partito dalla sua Lucca, culla di tanti musicisti, si trasferì a Roma, poi a Parigi e infine a Madrid con crescente successo. Ma nei suoi ultimi anni perse sia il sostegno dei suoi nobili protettori sia i proventi delle edizioni delle sue musiche e morì in condizioni economiche non propriamente brillanti. A lungo la sua musica fu quasi completamente dimenticata e ancora oggi, dopo che si sono riscoperti tanti compositori anche minori dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, è poco presente nelle sale da concerto. Forse questo è imputabile a due gravi errori commessi da Boccherini: il primo è di essere nato nel 1743, quindi tra Haydn e Mozart, da cui è rimasto schiacciato, e il secondo è di aver scelto l’allora periferica Madrid e non Vienna, la capitale della musica strumentale di quegli anni.
Della sua vasta produzione molti conoscono soltanto il fin troppo celebre Minuetto, che tante volte è stato usato o piuttosto maltrattato in vari arrangiamenti dalla televisione, dal cinema, perfino dai videogiochi. A conclusione del concerto dell’Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma dedicato interamente a Boccherini, Fabio Biondi ha scelto come bis proprio quel Minuetto, per dimostrare che, se lo si suona come va suonato, è elegante ma non manierato, piacevole all’ascolto ma non insulso, semplice ma non privo di particolarità ritmiche e armoniche tutt’altro che banali.
Ma l’interesse vero di questo concerto stava in quel che si era ascoltato prima, che offriva un ritratto di Boccherini inevitabilmente non completo ma comunque tale da permettere di farsi un’idea abbastanza chiara di questo compositore, che ha avuto un ruolo fondamentale nella transizione dallo stile galante al classicismo.
Fin dal Duo per due violini op. 3 n. 1, composto a soli diciotto anni, Boccherini supera i limiti di questo genere di musica e dà un ruolo paritetico ai due strumenti, che dialogano tra loro, talvolta scambiandosi la melodia, talvolta spartendosela in contrappunto. Il primo movimento è Grazioso di nome e di fatto e profuma di minuetto, ma il secondo è un robusto Allegro e il finale è un Presto estroso ed imprevedibile.
Già in questo Duo si avverte la mano di un musicista fuori dal comune. Ma pochi anni dopo il Trio op. 6 n. 6 del 1769 e soprattutto quello op 14 n 4 del 1772 rivelano ben altra maturità. Il primo ha lo stesso organico della vecchia sonata per due violini e basso continuo ma libera il violoncello dalla funzione del continuo e affida ai tre strumenti ruoli più equilibrati e paritetici. E ha un movimento centrale ampio e meditativo, che già è al di là dello stile galante.
Il secondo di questi due trii è per violino, viola e violoncello, quindi scompaiono le ultime tracce del basso continuo e gli strumenti si differenziano non più per il loro ruolo gerarchico (il violino ha una parte appena più brillante e visibile degli altri due) ma per il loro timbro, dando vita ad un discorso più vario e ricco, con colori e spessori quasi orchestrali. E ci sono idee estrose, come il colore rustico – quasi da zampogna – che fa capolino nel primo movimento e il ritmo marcato e un po’ scapestrato del Presto finale.
Ma il meglio doveva venire dopo l’intervallo con due Quintetti del 1798 e 1799, che Boccherini compose – o piuttosto mise insieme - scegliendo alcuni movimenti di suoi precedenti quintetti e trascrivendoli per chitarra e archi, su richiesta di un nobile spagnolo dilettane di chitarra. Apparentemente due lavoretti secondari scritti su commissione, in realtà due capolavori. Le forme sono quelle ampie, solide, simmetriche ed equilibrate dello stile classico, ma nient’affatto paludate, anzi piene di invenzioni anche estrose. Il Quintetto in re maggiore G 448 inizia con una Pastorale, in cui sembra di avvertire canti di uccelli e stormire di fronde, ma senza imitazioni realistiche: chissà se Beethoven la conosceva al momento di comporre la sua Sinfonia “Pastorale”. Il finale invece è un delizioso Fandango, in cui la chitarra - che prima era rimasta in secondo piano, probabilmente per non mettere in difficolta il nobile dedicatario, che non doveva essere un chitarrista eccelso – accentua il carattere pittoresco di questo allora raro esempio di esotismo spagnolo.
Il Quintetto in mi minore G 451 inizia con un Allegro commodo che ha sfumature misteriose e notturne e uno sviluppo tematico ampio e interessante, mentre l’Adagio è pensoso, grave, a tratti cupo. Siamo in pieno classicismo, ma anche qui Boccherini non rinuncia del tutto ad affascinare con idee originali ed estrose, col rischio di frazionare la sua musica in segmenti, a spese della continuità del discorso: insomma non è Haydn, in cui anche le idee sorprendenti s’inseriscono perfettamente nella continuità del discorso. D’altronde restare un passo dietro a Haydn non è certamente un disonore.
Il merito di questo bellissimo concerto - il primo interamente dedicato a Boccherini da me ascoltato nella mia lunga frequentazione delle sale da concerto! – va diviso tra compositore ed esecutori, ovvero Fabio Biondi al violino e alcuni strumentisti del suo ensemble Europa Galante: il violinista Aldo Rognoni, il violista Ernest Braucher, il violoncellista Alessandro Andriani e il chitarrista Giangiacomo Pinardi. Eccellente il dialogo tra gli strumenti, ottimi gli equilibri delle dinamiche, ideale l’amalgama dei timbri, insomma tutto perfetto. Ma quel che conta di più è che con il loro amore per Boccherini e con la dedizione e lo studio che hanno messo nelle loro esecuzioni, Biondi e i suoi partner hanno fatto capire ed amare questa musica al folto pubblico dell’Aula Magna dell’Università “La Sapienza”, che ha applaudito con calore e che – ci scommetterei – gradirebbe che quest’incontro con Boccherini avesse un seguito.
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