Fenomeno Netrebko
Al San Carlo di Napoli il concerto tutto russo con cui Anna Netrebko riesce a tenere magicamente inchiodati alle poltrone per due ore anche i melomani italiani.
Tutto, nella serata del San Carlo, aveva un carattere di eccezionalità. È sempre un evento vedere in scena Anna Netrebko, il soprano-diva dei nostri anni, anche se a Napoli non è più una novità, anche se l’estate scorsa si è concessa più volte sulla grande scena dell’Arena veronese, così che tanti hanno potuto vederla e sentirla dal vivo. Ma è ancor più un fenomeno degno di essere segnalato che un teatro grande come il San Carlo vada praticamente esaurito per un concerto di canto tutto fatto di romanze da camera russe, quasi provocatoriamente (e a una deliberata provocazione politica pensavano, forse, le poche signore ucraine che manifestavano davanti al teatro contro la presunta artista filo-putiniana).
Certo, l’intelligenza l’ha indotta a scegliere le pagine più spiccatamente melodiche, o quelle più drammaticamente incisive anche per chi non fosse in grado di comprenderne una sola parola; ma di certo 11 brani di Nikolaj Rimskij-Korsakov, 4 di Sergej Rachmaninov e 7 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, lunghi e complessi, non sono un menù semplice da digerire per il popolo del melodramma. Eppure sono passati con leggerezza, sottolineati uno ad uno dall’applauso del pubblico, un pubblico incontenibile, che faceva partire l’applauso anche a metà di un brano, se solo percepiva una cesura che ne facesse presupporre la fine.
Lo spettacolo, del resto, andava ben oltre l’impettito concerto di canto. Imponente nell’aspetto, fiera nello sguardo, con un primo abito luccicante che sembra preso in prestito da qualche eroina fantastica dell’opera russa, e un secondo in bianco e nero da serata di gala, la diva non si limita a cantare: declama versi russi come una grande artista tragica, recita col volto, con le mani, con tutto il corpo, quasi interpretasse uno ad uno i personaggi protagonisti di quei testi di Tolstoj, Puškin, Maykov. Il palcoscenico è tutto suo, e lo percorre esuberante in lungo e in largo, avanti e indietro, tracciando più volte il perimetro attorno al pianoforte, adagiandosi sullo strumento, volgendo le spalle al pubblico, volteggiando su sé stessa. Muove passi di danza ogniqualvolta la musica l’invita a farlo, e quando una scarpa le esce inopinatamente dal piede, arriva perfino ad apostrofarla «Stronza!» a gran voce, per attirarsi una risata compiacente dal pubblico, che ormai le perdonerebbe tutto.
La voce è bella, piena, tonda in quei centri meravigliosi che – unico caso nel panorama vocale attuale – ricordano i suoni centrali altrettanto fascinosi di Renata Tebaldi, notoriamente amatissima nella Napoli di oltre mezzo secolo fa. Un paio di volte scende spavaldamente al registro di petto; con baldanza e sicurezza affronta in più occasioni le note acute: allo spettacolo visivo si somma quello sonoro, che non sarebbe altrettanto prezioso e lucente se non avesse, ad accompagnarla, un pianista fuoriclasse come Pavel Nebolsin, in quelle ardue scritture predisposte da compositori pianisti essi stessi. L’ultimo brano della serata (op. 47 n. 6 di Čajkovskij) termina con una lunga coda strumentale ad effetto, ed è messo lì, in quella posizione, proprio per indurre il pubblico a un’ovazione finale soltanto per lui.
Poi... Poi, dopo tanto attendere, dopo tanto immaginarti quell’opulenza di voce associata a una cavata melodica pucciniana, a un’ebbra cabaletta verdiana, ti aspetti il bis operistico, per appagare anche la pancia, e non solo il cuore e la mente. E il bis operistico arriva ma – oh avversa sorte! – è un’aria dalla Francesca da Rimini di Rachmaninov. Al diavolo la coerenza stilistica! un fuori programma ha da essere, come dice la parola, fuori dal programma ufficiale... E invece il programma finisce lì, si conclude inesorabilmente così, a bocca asciutta, sua e nostra, tutti accalcati ai piedi del palcoscenico per la gran festa di foto e selfie: pare che un volo notturno l’attendesse, e che a Napoli non si sia fermata neppure una notte, dovendo correre a indïare altri mortali.
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