Zemira e Azor tornano a cantare a Schwetzingen
Il Nationaltheater di Mannheim riporta in scena la versione italiana dell’opera di Grétry nel luogo della creazione
Gabrielle-Suzanne Barbot, più nota come Madame de Villeneuve, si ricorda soprattutto per la prima versione moderna della favola La bella e la bestia. Fra le sue varie declinazioni musicali prima della fioritura dei musical, una ebbe particolare successo: Zémire et Azor, “comédie-ballet mêlée de chants et de danses” con testo di Jean-François Marmontel e musica di André-Erneste-Modeste Grétry. Presentata dalla Comédie Italienne al castello di Fontainebleau nel 1771 e poche settimane dopo a Parigi, l’opera rimase saldamente in repertorio per una cinquantina d’anni in Francia ma conobbe anche una certa popolarità presso le maggiori corti europee (per l’aneddotica, la zarina Caterina II battezzò Zemira un suo levriero dopo aver assistito a una rappresentazione a San Pietroburgo nel 1774). Solo pochi mesi dopo il debutto francese, l’opera arriva anche a Mannheim grazie alla compagnia di giro di Theobald Marchand, che la presenta in tedesco nella Kömödienhütte di Markplatz (e fra gli spettatori vi sarà anche Charles Burney nell’agosto del 1772). L’opera di Grétry attira anche l’attenzione della corte del principe elettore Karl Theodor, che affida al suo poeta di corte e segretario personale Mattia Verazi e al compositore e suo Kappelmeister Ignaz Holzbauer la sua trasformazione nei modi dell’opera italiana, con i parlati originali convertiti in recitativi secchi e accompagnati e qualche aggiunta musicale. Questa versione va in scena al Teatro di Corte di Mannheim nel 1776. Solo pochi mesi dopo, questa volta complice l’amico di Verazi, Niccolò Jommelli, viene prodotta una seconda versione ancora più “italianizzata”, assecondando i gusti del principe, e con aggiunte più rilevanti per dare maggior peso ai ruoli minori. Questa versione, presentata nell’estate del 1772 nel Teatro di Schwetzingen, l’antica residenza estiva della corte di Mannheim, è tornata sullo stesso palcoscenico a distanza di qualche secolo grazie allo sforzo congiunto del Festival SWR di Schwetzingen e il Nationaltheater di Mannheim, che approfitta sensatamente dell’esilio temporaneo dalla sede di Goetheplatz, chiuso per lavori, per proporre un programma piuttosto generoso di titoli inediti.
Nell’opera si racconta dell’arrivo fortunoso del mercante Sandro e del suo servo Alì nel palazzo incantato del mostruoso Azor. Per accontentare la richiesta della figlia Zemira, Sandro ruba una rosa provocando la furia di Azor, che promette di risparmiare l’uomo se in cambio avrà in sposa una delle sue figlie. A malincuore, Sandro accetta ma, di ritorno a casa, decide che è meglio uccidersi che sacrificare alla bestia una delle tre figlie. Ritenendosi responsabile della complicata situazione, Zemira accetta di andare in sposa ad Azor, nel quale grazie alla dolcezza della voce intravvede un animo gentile sotto l’aspetto mostruoso. Quando Zemira gli chiede di poter rivedere la famiglia, Azor le consegna un anello magico, grazie al quale la donna potrà fare ritorno da lui prima del tramonto. Se Zemira non tornerà, Azor sarà destinato a morire di solitudine. Nonostante le insistenze del padre ad abbandonare il mostro, Zemira mantiene la parola data. Cade così l’incantesimo della fata maligna e Azor riprende il suo aspetto di uomo bellissimo. Il legame della coppia viene quindi benedetto da Sandro, che, con le figlie, si unisce alla felicità della coppia.
La trasposizione scenica nel teatrino di Schwetzingen è affidata per regia, coloratissime scene e altrettanto colorati costumi a Nigel Lowery, che non dà l’impressione di prendere troppo sul serio la vicenda ma non gioca nemmeno la carta dell’interpretazione psicoanalitica (o molto marginalmente). Piuttosto, fa vedere due mondi in contrapposizione: quello di Sandro in cui tutto è reale o iperreale, e quello di Azor che è il regno dell’immaginario e della surreale stravaganza surreale (le rose sono diamantoni di plastica e gli abitanti sono vengono da altre favole, come i nani di Biancaneve che compaiono in scena senza un perché, così come senza un perché è il lieto fine celebrato su un campo da calcio fra giocatori e pompom girls). Gag e trovate anche insensate abbondano per il divertimento del pubblico, che mostra di apprezzare. Sul piano musicale, si fa apprezzare soprattutto la buca con gli archi scattanti e i fiati suadenti dell’Akademie für Alte Musik diretta con passo frenetico da Bernhard Forck, che riscatta un certo slentamento drammaturgico nella seconda parte. Non tutta all’altezza la distribuzione vocale: convince soprattutto la vocalmente scoppiettante coppia protagonista con Amelia Scicolone e Patrick Kabongo, buone le prove anche delle due pietose sorelle Seunghee Kho (Fatima) e Maria Polańska (Lesbia), mentre si apprezza soprattutto l’impegno scenico di Thomas Berau, un Sandro non sempre controllato sul piano vocale, e Raphael Wittmer, un decisamente acerbo Alì.
Serata leggera e piacevole nella lussureggiante cornice arcadica di Schwetzingen premiata da un pubblico particolarmente festoso.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.