Janelle Monáe, il piacere è tutto mio
In The Age of Pleasure la diva afroamericana Janelle Monáe inneggia alla liberazione sessuale
In The Age of Pleasure Janelle Monáe mette subito le cose in chiaro, proclamando all’inizio di “Float”, ouverture del quarto album in carriera: “No, non sono la stessa”. Si era affermata offrendo R&B fantascientifico nei panni dell’alter ego Cindi Mayweather in The ArchAndroid (2010) e nel successivo The Electric Lady (2013), per potenziare poi la formula con slancio da attivista in Dirty Computer (2018), disco accompagnato da un omonimo mediometraggio e dal volume antologico The Memory Librarian che ne integravano il contenuto afrofuturista.
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Frattanto il suo profilo da diva si espandeva sul grande schermo: dopo Moonlight e Il diritto di contare, ultimamente nella parte delle gemelle in Glass Onion – Knives Out. Ora però, all’età di 37 anni, l’artista statunitense cambia radicalmente registro, spostandosi da un futuro artificiale al presente carnale annunciato dal titolo del lavoro e simboleggiato eloquentemente da “Lipstick Lover”, esplicita ode all’erotismo su sensuale cadenza lovers rock: “Mi piace il rossetto sul collo, le mani intorno ai fianchi, così sappiamo cosa sta per accadere”.
L’atmosfera da party traboccante dal video descrive lo spirito delle feste durante le quali sono stati rodati i provini dell’album, «ispirato dai miei amici, una comunità di persone provenienti da Sudafrica, Ghana, Nigeria, Caraibi, Atlanta, Los Angeles e Chicago, dal vederci tutti insieme nella nostra Negritudine», ha spiegato lei nell’intervista concessa a “Rolling Stone”, sulla cui copertina è comparsa a torso nudo.
Se ne percepisce la vibrazione euforica nel funk ancheggiante di “Champagne Shit” (“Sarò la tua lotteria, stanotte”), ricalcato sul modello Beyoncé, e nell’evoluzione house di quel tema in “Black Sugar Beach”. Le tracce sfumano una nell’altra senza soluzione di continuità ed ecco farsi avanti allora ”Phenomenal” a ritmo di amapiano con metriche rap zeppe di spavalderia (“Ho davanti un migliaio di versioni di me stessa e stanno tutte bene, cazzo”), attitudine ribadita nella seguente “Haute” (“Non mi vedevo così da un po’: sono giovane, nera e selvaggia”), che sfocia infine in “Ooh La La”, complice la voce francofona di Grace Jones.
Altre ospiti – la cantante del Ghana Amaarae e l’attrice newyorkese Nia Long – animano “The Rush”, squisitezza pop che precede in sequenza l’assonante “The French 75”, quadretto giamaicano illustrato dalla veterana di Kingston Sister Nancy (“L’unica Dj donna laureata”, come si definisce qui). Completa lo scacchiere geografico la Nigeria, rappresentata in “Know Better” dall’asso dell’afrobeats CKay, con il quale la protagonista inscena un duetto a luce rossa orchestrato dai solenni fiati afrobeat degli Egypt 80 di Seun Kuti, già impiegati nel citato episodio d’apertura.
Dichiaratamente “non binaria”, Janelle Monáe inneggia al poliamore in “Only Have Eyes 42” fra echi doo wop e fragranze reggae, prima di chiudere latineggiando in “A Dry Red” un disco snello: 14 brani in poco più di mezz’ora, anche su questa scala opposto agli ingombranti precedenti deli esordi. Sintonizzato sull’estate imminente e all’apparenza disimpegnato, The Age of Pleasure è in realtà un atto liberatorio che contrasta il riaffacciarsi anacronistico di pregiudizi e fariseismi.