Atalia di Gasparini è tornata a Roma

Prima esecuzione moderna dell’oratorio composto nel 1693 per la città dei Papi

Atalia
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Recensione
classica
Roma, Chiostro del convento della Santissima Trinità dei Monti
Atalia
10 Giugno 2023

L’esecuzione di un oratorio di un poco noto compositore del tardo Seicento poteva sembrare riservata a pochi specialisti e passare quasi inosservata, invece è diventata un evento, con centinaia di persone che affollavano il chiostro del convento di Trinità dei Monti, bellissimo ma sconosciuto ai romani stessi, perché accessibile solo in rare occasioni. Complimenti dunque agli organizzatori Roma Barocca in Musica e Roma Festival Barocco, che hanno saputo valorizzare la prima esecuzione moderna dell’Atalia  di Francesco Gasparini.

Ormai non si può più dire che questo compositore sia un perfetto sconosciuto, perché qualcosa di suo è stato eseguito in tempi recenti. Fino a qualche anno fa veniva ricordato soprattutto perché era stato “maestro di choro” dell’Ospedale della Pietà di Venezia dal 1701 al 1713, quindi in un certo senso era un “superiore” del più giovane Antonio Vivaldi, che in quello stesso luogo e in quegli stessi anni era maestro di violino: questo faceva ipotizzare una possibile influenza dell’uno sull’altro, che l’ascolto della musica non conferma assolutamente. In realtà il toscano Gasparini fu attivo soprattutto a Roma, una prima volta dal 1682 (se non prima) al 1701 e poi dal 1716 alla morte, avvenuta nel 1727. E a Roma nel 1692, quando aveva trentun’anni, compose l’oratorio Atalia, il cui fu ricavato da Athalie, tragedia di argomento biblico di Jean Racine, ancora fresca d’inchiostro, perché era stata stampata nel 1691.

La tragedia di Racine è un capolavoro, ma ne resta ben poco nell’adattamento fattone dal modesto librettista, rimasto anonimo, perché ebbe il pudore di non firmarsi. La tremenda Atalia, che sterminò tutta la sua famiglia per salire al trono ed è stata definita “mostro raro, non meno d’ambizione che di barbarie”, viene presentata dal librettista all’inizio dell’oratorio con quest’insipidi versi: “Serenatevi o pensieri / mesti e fieri / al volar de’ venticelli, / se tra zeffiri odorosi” eccetera. Gasparini fece il massimo che si potesse fare e scrisse una aria gradevole, ma non diversa da altre innumerevoli arie di quell’epoca, così andò sprecata la preziosa occasione di un incipit  che valorizzasse la personalità certamente non banale della protagonista. Segue una lunghissima scena tra Atalia e il generale Ormano: ella vorrebbe convincerlo ad eliminare il piccolo Joas, unico scampato alla strage da lei perpetrata, ma in risposta ottiene un’interminabile serie di stucchevoli frasi moraleggianti, pensate probabilmente per l’elevazione degli allievi del Collegio Clementino, dove l’oratorio fu eseguito. Gasparini non si demoralizza e fa comunque del suo meglio, alternando frequenti arie, ampie e col da capo o semplici e brevi, a recitativi dalla linea vocale mossa e sorretta da un denso basso continuo (non per nulla Gasparini scrisse un importante trattato su quest’argomento). È una struttura piuttosto originale, se confrontata con lo stile dei primi decenni del secolo successivo, ma alquanto debole, se invece si pensa a quello che Alessandro Stradella aveva fatto nella stessa Roma fino ad una decina d’anni prima.

Nella seconda parte, drammaticamente più mossa e incisiva, la protagonista finalmente si anima di qualche momento di maggior vigore; infine, ferita a morte, si congeda dal mondo con due versi, sempre piuttosto banali dal punto di vista poetico, ma che con la musica di Gasparini acquistano grande statura. Sempre nella seconda parte spiccano alcuni cori (il coro è formato dalle stesse quattro voci che interpretano i personaggi dell’oratorio) in elegante stile madrigalistico e soprattutto le quattro brevi arie della Nutrice, semplici e popolaresche: quella finale conclude la tragedia (proprio a quest’umile personaggio è lasciato tale onore) con un lieto fine dettato dalla sua saggia concretezza popolare.

L’esecuzione era guidata dal violinista e direttore Emmanule Resche-Caserta, francese di origini italiane, con studi a Barcellona, Parigi e soprattutto al Conservatorio di Palermo con Enrico Onofri per quanto riguarda il violino e alla Juilliard School di New York per quanto riguarda la direzione. Ora è assistente musicale di William Christie all’orchestra Les Arts Florissants. Un curriculum di tutto rispetto. In quest’occasione dirigeva un’orchestra barocca denominata Hemiolia, formata da una ventina d’elementi, tra cui vari italiani. L’esecuzione era accurata e nitida (a parte i problemi d’intonazione delle trombe naturali e un paio di piccoli inciampi) ma con dinamiche e tempi piuttosto piatti ed uniformi. Si direbbe che Resche-Caserta sia più a suo agio nella musica strumentale che in quella vocale, che ha esigenze e problemi diversi: infatti era piaciuto di più l’anno scorso in musiche di Corelli

Camille Poul ha interpretato la protagonista con voce limpida e morbida e con molto stile, ma senza grande personalità. Il contralto Mélodie Ruvo ha un bel timbro vellutato e ha ben centrato il carattere semplice e schietto della nutrice, ben diversa dall’artificiosità degli altri personaggi. Il tenore Fabien Hyon, che interpretava Ormano, non è stato vocalmente ineccepibile e non è riuscito a valorizzare i rari momenti in cui questo personaggio si elevava al di sopra delle convenzioni. Il basso Lisandre Abadie ha dato la giusta autorevolezza al grande sacerdote. Dietro all’orchestra, una grande “macchina” barocca dipinta da Phlippe Casanova completava lo spettacolo con un gran finale di fontane di fuochi artificiali. Il folto pubblico ha dimostrato con lunghi applausi di aver molto gradito il concerto, ottenendo anche un piccolo bis.      

 

 

 

 

 

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