L’espresso post punk del Bar Italia

Tracey Denim è il nuovo album del trio di Nina Cristante: artista romana a Londra

Bar Italia
Disco
pop
Bar Italia
Tracey Denim
Matador
2023

Lo ammetto: mi sono lasciato attrarre dall’insegna Bar Italia, analoga a quella del locale aperto nel 1949 a Soho dalla famiglia Polledri, divenuto nel tempo posto rinomato, tanto da meritarsi un brano dei Pulp (nel 1995, in Different Class).

Nel caso specifico l’intestazione riguarda un trio londinese composto da Jezmi Tarik Fehmi e Sam Fenton (già in coppia nei Double Virgo) insieme a Nina Cristante, cervello in fuga da Roma.

Indagando su quest’ultima, si scopre che di mestiere è nutrizionista e personal trainer di “fitness povero”, altresì titolo di un’installazione, poiché agisce pure da artista: status certificato dalla partecipazione alla biennale di Berlino del 2016. Per il resto si brancola nel buio, o quasi: l’immagine pubblica del gruppo è elusiva, tipo niente interviste e foto nebulose. Ciò nonostante ha acquisito nomea di culto nel sottobosco della capitale britannica, addirittura “la nuova band migliore di Londra”, secondo “The Face”.

Dopo un paio di album usciti per la World Music di Dean Blunt, editrice inoltre dei lavori da solista di Cristante, il terzo – Tracey Denim – porta impresso il prestigioso marchio dell’indipendente newyorkese Matador e si avvale della prestazione al mixer di Marta Salogni, altra emigrante nostrana oltremanica, dove nel giugno scorso si è aggiudicata l’attestato di “produttore dell’anno”.

Proviamo a sentire come suona, allora: “Nurse!” è ad esempio una sghemba ballata post punk e racconta una storia del genere “lei, lui e l’altro” (“Una maschera ha coperto i tuoi occhi e ti agiti come una matta sulla tua canzone preferita”, fa uno, mentre il rivale ammette: “Non posso lasciar correre e toglierti dalla mia testa”).

Il soggetto narrativo non cambia nella seguente “Punkt”, introdotta da un fotogramma inquietante (“La paura ha un debole per gli occhi, uno sguardo e sei paralizzato”) e sviluppata anch’essa a tre voci, con quella femminile a rivendicare libertà d’azione (“Voglio solo perdere il controllo”).

All’ascolto fa un po’ l’effetto dei primi Blonde Redhead, come accade pure in “NOCD” e “Harpee”: manifestazioni ulteriori di una certa indolenza esistenzialista, espressa poi eloquentemente nei versi di “My Kiss Era” (“Tutte le persone che preferisco sono incomprese”) e “Changer” (“Non vedo l’ora di assistere alla fine del mio mondo”).

Nel DNA dei Bar Italia si riconoscono tracce di Cure vecchio stile e The xx (durante “Clark”, in particolare), oppure l’eco transatlantica dell’indie rock di fine Novecento (il prepotente guizzo elettrico di “Friends”), ma alla fine il vero pezzo forte è “Missus Morality”, che inizia in sordina riaffermando un principio di autonomia (“Non m’importa se pensi che mi senta sola, quando sono sola il mondo torna al suo posto”) e sfocia in un ritornello d’irresistibile intensità.

È l’apice di un disco dal fascino enigmatico: meglio ammirarlo che tentare di decifrarlo.

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