Weill e Orff: la strana coppia di Francoforte
L’Oper Frankfurt presenta il dittico “Lo zar si fa fotografare” di Kurt Weill con “Die Kluge” di Carl Orff
È sicuramente curiosa, anche se non nuovissima, l’idea di presentare due atti unici disaccoppiati dalla loro controparte abituale, soprattutto se decisa dai rispettivi autori. L’Oper Frankfurt presenta così in una sola serata l’operina buffa in un atto Der Zar lässt sich photographieren (Lo zar si fa fotografare) di Kurt Weill, che in genere fa coppia con la quasi contemporanea Der Protagonist (Il protagonista) con cui condivide il librettista Georg Kaiser, con Die Kluge (La saggia) di Carl Orff, che in genere fa coppia fissa con Der Mond con cui condivide l’ispirazione favolistica dai fratelli Grimm. Frutti di due epoche molto diverse – gli anni tumultuosi della Repubblica di Weimar quella di Weill e quelli ben cupi della catastrofe bellica l’opera di Weill – i due lavori non potrebbero essere più diversi anche nell’ispirazione: tipico prodotto della “Zeitoper”, sorta di “instant opera” ante litteram la prima, ed espressione della personalissima concezione teatrale ispirata a un medievalismo riletto in chiave quasi brechtiana la seconda.
Diversa è anche la chiave scelta dal regista Keith Warner per mettere in scena questi due lavori, di fatto due diversi allestimenti, all’Opernhaus di Francoforte. Unico elemento unificante è un ciclorama solcato da linee geometriche disegnato dallo scenografo Boris Kudlička, che ricostruisce uno studio fotografico parigino anni ‘20 con un palcoscenico rotante al centro per l’atto unico di Weill e immagina invece un ambiente più astratto e fantasioso, fatto di pochi elementi evocativi, per la favola di Orff. Lo stesso discorso vale per i costumi di Kaspar Glarner, d’epoca per Weill e più fantasiosi e ispirati per Orff.
Diligente ma poco inventiva anche la regia per Weill che non va oltre l’illustrazione di un piuttosto macchinoso quanto cialtronesco attentato alla vita dello zar organizzato nello studio fotografico di Angèle in occasione di una foto in posa del monarca russo, che non si farà causa suo incapricciamento per l’attentatrice sotto le mentite spoglie di Angèle. Unica trovata, a parte i ritratti fotografici di potenti di ogni epoca appesi al ciclorama, è la serie di “tableaux vivants” di celebri tirannicidi storici (i Romanov, Cesare, John Kennedy) dietro al teatrino di posa dello studio fotografico ma che è solo uno stravagante diversivo all’azione. Più riuscito, invece, perché di ispirazione più libera, l’allestimento della favola di Orff. Il palcoscenico girevole si popola via via di oggetti essenziali che servono alla narrazione, tutta risolta in divertita chiave antinaturalista, della favola della ragazza che, grazie alla sua saggezza, conquista prima la mano del re risolvendo tre indovinelli e quindi il suo cuore. Il lieto fine nel quale si suggella l’amore della coppia reale contro uno sfondo luminoso attraverso il diaframma di un apparecchio fotografico di altri tempi sembra più che altro una soluzione artificiosa per chiudere il cerchio con la prima parte della serata.
Anche sul piano musicale, le sorprese arrivano soprattutto nella seconda parte, nella quale la direttrice d’orchestra Yi-Chen Lin sembra ritrovare slancio e vivacità negli incisi ripetuti alternati ai dialoghi della partitura di Orff, più che nell’eclettico polistilismo di Weill, messo poco in rilievo. Buona la prova della Frankfurter Opern- und Museumsorchester e dei numerosi interpreti vocali, in gran parte dell’ensemble del teatro, fra i quali spiccano, soprattutto in Orff, il brillante trio di vagabondi di Andrew Bidlack, Iain MacNeil e Dietrich Volle, ma anche la giovane coppia reale della saggia Elizabeth Reiter e del re capriccioso Mikołaj Trąbka. In Weill, si fanno notare soprattutto Domen Križaj, uno zar di divertente tracotanza, e Juanita Lascarro, l’improbabile seduttrice-attentatrice.
Pubblico non troppo folto ma generoso di applausi e chiamate per tutti.
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