Le ambizioni del giovane Bizet
Lo Staatstheater di Meiningen riporta in scena “Ivan IV”, opera a lungo dimenticata di Bizet
Chissà se è il tanto parlare di Russia ad aver stimolato l’interesse allo Staatstheater di Meiningen per la riesumazione dell’Ivan IV di Georges Bizet, celebre compositore, la cui conoscenza è oggi confinata praticamente alla sola Carmen e molto meno a Les pêcheurs des perles, che dell’Ivan IV è quasi contemporanea.
Questo Ivan IV è un’opera nata storta: al soggetto ci aveva già pensato e lavorato dal 1856 Charles Gounod, che poi, davanti all’impossibilità di rappresentare il lavoro all’Opéra di Parigi, aveva deciso di fare altro, riciclando la musica composta in altre sue composizioni. Gounod incoraggia però il giovane collega a riprendere in mano il progetto e nel 1862 Bizet si mette al lavoro sullo stesso ambizioso soggetto. Le ambizioni, tuttavia, vengono frustrate dallo scarso interesse dell’Opéra. L’opera, ancora incompiuta, viene quindi abbandonata e Bizet rivolge le attenzioni a una nuova fiamma, La jolie fille de Perth, che Léon Carvalho gli chiede per il suo Théâtre Lyrique. E così anche questa partitura dell’Ivan IV finisce in spezzatino in altre composizioni. Non se ne riparlerà più fino al 1938, quando la partitura, recuperata fra le carte del secondo marito della vedova Bizet, viene esposta per il centenario della nascita del compositore. L’interesse per questo disgraziato lavoro, però, non decolla: le esecuzioni pubbliche restano scarse e non sempre fedeli all’autografo, così come le registrazioni, di cui a tutt’oggi se ne contano un paio o poco più comprese quelle non ufficiali (l’ultima, diretta da Michael Schønwandt, è stata pubblicata da Naïve nel 2002).
L’Ivan IV del titolo è il più noto Ivan il Terribile, che, in incognito in un viaggio nel Caucaso, si invaghisce di Marie, figlia del capotribù Temrouk, e la fa rapire. Al Cremlino, fra esecuzioni di massa e feste di corte, in seguito Ivan decide di scegliersi una moglie e il boiardo Yorloff spera di legarsi allo zar offrendogli la propria figlia. Ivan però sceglie Marie, la quale tuttavia lo respinge rifugiandosi nel convento sotto la protezione di Olga, la sorella dello zar. Nel frattempo, giungono a Mosca Temrouk e il figlio Igor, decisi a vendicare il rapimento di Marie e organizzano una congiura contro Ivan con l’appoggio dello scornato Yorloff. Introdottosi nella camera nuziale per uccidere la zarina, Igor scopre che in effetti la sposa di Ivan è proprio la sorella Marie, resasi tardivamente conto di amare il suo rapitore. L’infido Yorloff denuncia allo zar la congiura ordita da Igor accusando anche Marie. Ivan ordina quindi che i due vengano condannati a morte e perde i sensi. Yorloff si impadronisce del potere, ma, tornato in sé, con l’aiuto dell’ex-nemico Temrouk Ivan mette fuori gioco Yorloff e lo condanna a morte, mentre il popolo festeggia il suo ritrovato zar.
Che sia colpa (involontaria) di Carmen se Ivan IV non è mai uscito dal cono d’ombra nel quale si trova da secoli è più che possibile. L’opera funziona e molte pagine musicali sono di valore. Il problema semmai è che questo Bizet viene fuori come un buon mestierante, molto debitore al modello del grand opéra secondo Meyerbeer ma anche al più anziano maestro Gounod, al quale sembrano rifarsi pagine come il valzer del coro “Sous nos pas le sol résonne” che apre il terzo atto o la grande scena “Il me semble parfois” della protagonista Marie nel quarto atto degna delle grandi arie di bravura di Marguerite o Juliette. Anche il libretto, non dei più originali, è la tipica macchina da colpi di scena e momenti corali, e soffre anche di più di una lungaggine e qualche incoerenza, senza dire che proprio l’eponimo Ivan è il più penalizzato fra i ruoli principali, privo com’è di una grande scena da protagonista.
Detto questo, è certamente lodevole la scelta di allestire per la prima volta in Germania la versione scenica in cinque atti (completata da Howard Williams) da parte dello Staatsheater di Meiningen, piccolo teatro della Turingia meridionale dalla storia luminosa e dal presente piuttosto routinier, salvo sorprese come questo inedito Bizet. Anche se con mezzi non generosissimi, va apprezzato soprattutto lo sforzo notevole richiesto da un titolo come questo che ha fatto mobilitare tutti i complessi del teatro. Se la Meininger Hofkapelle sotto l’energica guida del suo direttore musicale Philippe Bach si fa apprezzare per la corposità del suono e la qualità degli interventi solistici, il Coro dello Staatstheater di Meiningen, un po’ ridotto causa numerose malattie, offre invece una prova un po’ discontinua e qualche impaccio nei movimenti in scena. Piuttosto disuguale è anche il cast vocale, nel quale spicca l’ottima prova di Mercedes Arcuri una Marie dalla vocalità luminosa e coloratura sicura. Più debole il comparto maschile con Tomasz Wija che interpreta un Ivan tenebroso ma pochissimo sfaccettato, Alex Kim è invece un Igor espressivo ma vocalmente molto fragile, mentre Paul Gay è un Temrouk sguaiato e poco controllato nell’emissione, e solo Shin Taniguchi prova a dare un po’ di profondità al suo ritratto del boiardo Yorloff. Senza molta storia anche gli interpreti dei ruoli minori con Luise von Garnier, sostituta dell’ultimo minuto, che presta la voce al ruolo del giovane bulgaro dal lato del palco, Mikko Järviluoto nel doppio ruolo della sentinella e del circasso, Stan Meus che è l’araldo e Andreas Kalmbach l’ufficiale russo.
Inutile dire che per il grand opéra ci vorrebbero grandi mezzi e Hinrich Horstkotte, impegnato come regista, scenografo e costumista, usa soprattutto l’intelligenza per confezionare uno spettacolo lineare a basso contenuto spettacolare ma ben condotto, interamente ambientato in una scatola lignea con pochi elementi marcanti e un sapiente uso del palcoscenico rotante per scandire l’incalzante successione di eventi.
Pubblico piuttosto numeroso nella piccola sala storica dello Staatstheater e generoso di applausi per tutti.
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