A Strasburgo “La voix humaine” tutta al femminile
All’Opéra national di Rhin Patricia Petibon è la straordinaria protagonista dell’allestimento di Katie Mitchell dell’opera di Poulenc fra teatro e cinema
Se la si misura con il metro contemporaneo dell’uguaglianza di genere, La voix humaine rappresenta un esperimento inquietante in cui una donna, affetta da misoginia interna, si svilisce e si umilia per un uomo senza cuore che chiaramente non vale il suo tempo. La pensa così la regista Katie Mitchell, che l’Opéra du Rhin ha chiamato per curare il nuovo allestimento del lungo monologo scritto nel 1930 da Jean Cocteau e trasformato in tragédie lyrique dal compositore Francis Poulenc per la voce della sua musa Denise Duval una trentina d’anni dopo. Autentico pezzo di bravura per attrici carismatiche (indimenticabile la prova di Anna Magnani diretta da Roberto Rossellini nell’episodio Una voce umana del film L’amore), in una quarantina di minuti una donna senza nome parla al telefono con il proprio amante, le cui risposte non sentiamo. La chiamata subisce spesso interruzioni e interferenze, ma non così la tensione drammatica del monologo della donna, che tenta con ogni mezzo un impossibile riavvicinamento all’uomo con cui il legame è ormai definitivamente spezzato.
Per “fare serata”, Katie Mitchell riprende il format già sperimentato nel suo Judith allestito all’Opera di Stato Bavarese, espandendo il materiale operistico attraverso un film realizzato anche per questo nuovo spettacolo da Grant Gee. A Monaco per l’atto unico di Béla Bartók realizzato nella chiave del thriller il video costituiva un prologo con la musica del Concerto per orchestra dello stesso Bartók. In questo nuovo spettacolo, le immagini girate da Grant Gee in una Strasburgo sinistramente notturna incorniciano l’opera di Francis Poulenc con un breve prologo, nel quale si vede la donna arrivare nell’appartamento dove si svolgerà la drammatica telefonata che si conclude con il suicidio della protagonista, e un finale filmato accompagnato dal brano orchestrale Aeriality dell’islandese Anna Þorvaldsdóttir. Si tratta di una scelta, come spiega la stessa regista, che vuole rappresentare il passaggio di testimone musicale da un compositore uomo della metà del XX secolo a una compositrice donna del nostro secolo, ma che si adatta anche alla virata in senso femminista del finale per immagini scelto da Mitchell: secondo le parole della compositrice, infatti, Aeriality si riferisce allo stato del planare nell’aria senza nulla o poco a cui aggrapparsi, come se si volasse, e la musica ritrae sia la sensazione di libertà assoluta ottenuta dalla mancanza di legami, sia la sensazione di disagio generata dalle stesse circostanze. È la libertà ritrovata dalla protagonista che, schiantata al suolo in una pozza di sangue, si rialza e si aggira nella città di notte, inseguita dal cane di lui, quel cane che, nella vita precedente della donna, soffriva per l’assenza del padrone e che la spaventava con il suo sguardo accusatore (“Ti giuro che mi spaventa. Non mangia, non si muove più. E quando mi guarda mi viene la pelle d’oca … E come vuoi che lo sappia? Crede che ti abbia fatto del male … Lo capisco fin troppo bene. Ti ama. Non ti vede più rincasare e crede che sia per colpa mia”, come dice al telefono la donna). Ma nella sua vita ritrovata la donna sfida quello sguardo e ritrova finalmente la forza di sottrarsi a quel legame che ne ha cancellato l’identità. Nella scena finale, dopo il film e a musica finita, la donna ricompare per solo qualche istante sulla soglia della stanza da letto in disordine (la scena, meticolosamente realistica, è di Alex Eales, e le luci notturne di Bethany Gupwell), dove, con l’ultima chiamata all’amante, si è chiusa anche la sua vita precedente, pronta forse per cominciare un nuovo percorso, finalmente padrona del proprio destino.
Straordinaria protagonista della serata strasburghese era Patricia Petibon, che tornava al felice sodalizio con la regista britannica a otto anni dalla riuscitissima Alcina del Festival di Aix-en-Provence. Distante ormai anni luce dalle acrobatiche follie barocche degli esordi, Patricia Petibon apre una nuova pagina nella sua carriera, nella quale la vocalista fa decisamente spazio all’interprete capace di coprire tutto lo spettro espressivo di un ruolo complesso come quello della protagonista dell’opera di Poulenc.
Per una serata tutta al femminile, inevitabile che sul podio dell’impeccabile Orchestre philharmonique de Strasbourgsalisse una donna: è infatti Ariane Matiakh che guida con mano ferma le nervose linee spezzate come bruschi cambiamenti di umore (con solo qualche rara parentesi lirica) della telefonata musicale di Francis Poulenc e il complesso intreccio di stratificazioni timbriche della composizione di Anna Þorvaldsdóttir.
Una bella serata di teatro e musica, salutata dai calorosi applausi del folto pubblico presente alla prima.
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