La Pietà di John Cale
Mercy, nuovo album di John Cale, è un viaggio epico fra passato, presente e futuro
Ammirata un paio di settimane fa l’inossidabile tenacia di Iggy Pop, siamo alle prese adesso con un altro Grande Vecchio: John Cale, che nel lontano 1969 – appena uscito dai Velvet Underground – produsse il debutto discografico degli Stooges, dopo aver fatto altrettanto per The Marble Index di Nico.
A lei dedica espressamente in Mercy “Moonstruck”: struggente elegia orchestrata fra archi da camera ed elettronica, dove la definisce “signora tossica stregata dalla luna”. Il fantasma più appariscente è però David Bowie, evocato in “Night Crawling”, che su cadenza hip hop assume postura vagamente jazz – affine ad alcuni scorci di Blackstar – accompagnandosi a un video che ripercorre in formato cartoons le peripezie dei due: “C’è stato un periodo, verso la seconda metà degli anni Settanta, in cui io e David ci incontravamo a New York. Si parlava molto di fare qualcosa insieme, ma ovviamente finivamo per vagabondare a tal punto da non riuscire a trattenere un solo pensiero in testa, figurarsi metter giù una canzone!”, ha raccontato Cale a “Rolling Stone”.
L’eco dei tempi andati si riverbera nell’album, insomma, controbilanciata tuttavia da elementi di contemporaneità: varcata la soglia degli 80 anni, l’artista gallese ha scelto di circondarsi nell’occasione di musicisti più giovani: ecco allora il produttore britannico Actress fra le pieghe glitch di “Marilyn Monroe’s Legs (Beauty Elsewhere)” (“Lei era sempre lì, in ritardo alla festa”, l’epigrafe per la Diva), gli statunitensi Animal Collective nel quadretto avant-pop di “Everything Days” (ripromettendosi di “impedire che i ricordi vadano alla deriva”), gli outsider londinesi Fat White Family nel caotico misticismo di “The Legal Status of Ice” (“Qual è la condizione giuridica del ghiaccio? Da dove arriva e dove va? Galleggia in superficie con la vaniglia, liquore sul fondo”), la cantante di origine colombiana Tei Shi, che contribuisce a rendere incantevole l’agrodolce “I Know You’re Happy” (“Non posso essere il tuo eroe, non voglio essere il tuo zimbello”), e Weyes Blood, coprotagonista nel tour-de-force esistenzialista affrontato in “Story of Blood”.
Si tratta della prima raccolta di materiale originale da un decennio abbondante a questa parte (M-FANS del 2016 offriva rielaborazioni di brani appartenenti all’antico classico Music for a New Society) ed è frutto di una lunga gestazione, rallentata ulteriormente dalla pandemia, cosicché alcune tracce sono state sottoposte già a rodaggio dal vivo, ad esempio “Time Stands Still”, nella quale fa capolino il duo americano Sylvan Esso: l’incipit folgorante (“La Grandeur dell’Europa sta affondando nel fango”) rivela quanto dai testi affiorino in controluce i mali attuali del mondo.
“Non volevo seguire quella strada, ma alla fine era impossibile evitarla: ciò che accadeva intorno ha preso il sopravvento”, ammette l’autore. Perciò invoca misericordia nel titolo, mutuato dall’episodio d’apertura, la cui ambientazione avveniristica – dovuta al tocco della produttrice Laurel Halo – accoglie la sua voce baritonale impegnata a descrivere paesaggi d’inquietudine: “Lupi che si preparano e compreranno altre armi”, una “festa cominciata presto” che “non c’è modo di fermare, con così tanti rimasti uccisi”.
L’umore è in genere malinconico, come capita in chiusura sui toni mélo di “Out Your Window”: “Se ti butti dalla finestra, io interromperò la tua caduta, ti terrò accanto e tranquillizzerò, ovunque tu decida di andare”. Oppure nel crescendo solenne di “Noise of You”, accorata cronaca di una separazione: “Le campane suonano, cade la neve, il coro sta finendo la sua canzone, incontriamoci alla Casa sul Fiume, per dirci addio”.
Densa ed emotivamente abbagliante, Mercy è un’opera di bellezza imperiosa nella dosata alternanza di passato, presente e futuro.
Quest’ultimo, prosaicamente, rappresentato dalla fitta agenda di concerti che – partendo il 6 febbraio dalla Philharmonic Hall di Liverpool, senza al momento alcuno scalo in Italia – lo condurrà a inizio giugno sul palco del “Primavera Sound” di Barcellona.