Lucas Santtana e il Paradiso in Terra
Nel nuovo album O Paraíso il cantautore brasiliano mette in rima ecologismo e tropicalismo
Il nono album di Lucas Mascarenhas Santana, 52enne cantautore di Bahia che per farsi strada nella scena musicale ha raddoppiato a scanso di equivoci la “t” del cognome (diventando Lucas Santtana), è sincronizzato con l’attualità politica: segue infatti di pochi giorni l’insediamento di Lula e la fallita sommossa golpista dell’8 gennaio.
In particolare, allude a un precetto programmatico del presidente rieletto: la tutela della foresta amazzonica. «La lotta per proteggere l’Amazzonia è cruciale e determinante per la sopravvivenza di tutti coloro che abitano la biosfera blu chiamata Terra», ha affermato lo stesso Santtana introducendo O Paraíso. Porta quel titolo il brano posto in apertura di sequenza: una bossa nova sviluppata su aristocratico registro minimalista.
Ai canoni della tradizione brasiliana Santtana è ancorato per ascendenza familiare (essendo nipote di Tom Zé) e trascorsi artistici (in gioventù fu membro della formazione che nel 1994 affiancò in tournée Gilberto Gil e Caetano Veloso), ma intende il tropicalismo in chiave evolutiva, come dimostra la collaborazione ricorrente – ancora in Cuidado Madame del 2017 – con Arto Lindsay.
Appartiene dunque alla seconda generazione del fenomeno, quella rappresentata dai coetanei Seu Jorge e Rodrigo Amarante. Analogamente a quest’ultimo, ostenta attitudine cosmopolita, espressa nella circostanza dal multilinguismo dei testi. Ecco l’inglese in “What’s Life”, dove la voce filtrata da un vocoder riprende gli scritti della biologa statunitense Lynn Margulis, teorica dall’endosimbiosi, e nell’aggraziata reinterpretazione dello standard beatlesiano “The Fool on the Hill”, affrontata in coppia con la chanteuse parigina Flore Benguigui (l’intero lavoro è stato registrato del resto nella capitale francese, luogo in cui ha sede l’etichetta indipendente sua editrice dal 2014, e francofono è il contenuto di “La Biosphère”, ballata solare d’impronta ecologista – “L’organismo vivente che ci circonda, il nostro unico paradiso”, dice un verso – sfociante in un idilliaco coro infantile).
Altro oggetto di cover è “Errare Humanum Est”, classico di Jorge Ben datato 1974, reso qui lieve da un elegante arredo di fiati. Recita l’incipit di quella canzone: “Ci sono giorni in cui mi sveglio pensando che vorrei sapere da cos’ha origine il nostro impulso a sondare lo spazio”. Non a caso viene subito dopo “Vamos Ficar na Terra”: educata invettiva contro il progetto marziano di Elon Musk.
È del nostro pianeta che abbiamo l’obbligo occuparci, sostiene Santtana: “Quanti segnali di Sos dobbiamo ricevere prima di aprire gli occhi?”, canta in “A Transmissao”. E per avvalorare il proprio discorso chiama a testimoniare Jung (tra le pieghe psicanalitiche della saudade in “No Interior de Tudo”) e Borges (rievocando in lingua spagnola, durante la conclusiva “Sobre la Mémoria”, la figura di Ireneo Funes: protagonista di un racconto in Finzioni).
Se tutto ciò può sembrare eccessivamente ponderoso, benché non lo sia affatto all’ascolto, valga a controbilanciarlo la verve sbarazzina di “Muita Pose, Pouca Yoga”: duetto con la connazionale Flavia Coelho che culmina in un’impertinente filastrocca (“O wi-fi o wi-fi, não satisfaz”) degna del Manu Chao di “Me Gustas Tú”.
È la propizia combinazione fra spirito naïf, densità di argomenti, raffinata grafia compositiva e garbo interpretativo a rendere delizioso O Paraiso.