I Maestri cantori fra Shakespeare e Beckett
All’Oper Frankfurt debutta un nuovo allestimento dell’opera di Richard Wagner con qualche contestazione alla regia
Inutile negarlo: Die Meistersinger von Nürnberg con il suo carico ideologico e le strumentalizzazioni subite nel corso della storia continua a porre seri problemi a chiunque decida di portarla in scena nei teatri tedeschi. O si affronta di petto la questione, come fece Christof Nel nel suo allestimento politicamente radicale, per l’Oper Frankfurt nel 1993 (riallestito nel 2002), oppure la si aggira, come preferisce fare Johannes Erath nel nuovo allestimento appena andato in scena, fra qualche timida contestazione nello stesso teatro. Erath tratta questa opera wagneriana come una specie di sogno (o piuttosto, incubo) di una notte di inizio estate, la notte che precede la grande sagra della festa di San Giovanni Battista, in cui deflagrano tutte le ossessioni dei personaggi dell’opera, come già annuncia il grande sipario semitrasparente marcato da una miriade di formule incomprensibili, autentica epitome iconografica di un culto quasi esoterico perpetuato dai Maestri cantori, maniacalmente attaccati alle formule musicali della Norimberga di metà Cinquecento. Le stesse formule si ritrovano semicancellate sulle pareti della grande esedra che prima funge da abside della chiesa di Santa Caterina (con le gigantesche mani in preghiera del norimberghese Albrecht Dürer che pendono dall’alto), per poi decomporsi e ricomporsi nel mobilissimo palcoscenico rotante affollato di tracce, le più disparate, che germogliano dagli infiniti spunti del fluviale testo wagneriano e scatenano l’estro scenografico di Kaspar Glarner raffreddato dalle luci di taglio espressionista di Joachim Klein. Non sfugge la suggestione biblica dei nomi delle due uniche donne della vicenda: se Eva è la donna tentatrice e catalizzatrice dei desideri anche più violenti dei maschi (non solo di Walther e di Hans Sachs, che concupisce nemmeno troppo di nascosto), Maddalena è la peccatrice che irretisce l’ingenuo apprendista David diventa quindi la Marlene Dietrich dell’Angelo azzurro con cilindro, calze di seta e reggicalze in bella vista nell’incubo dionisiaco del secondo atto, sul quale quelle gambe gigantesche pendono dall’alto scalzando le mani oranti di Dürer.
In questo spettacolo poco è lo spazio lasciato al comico, forse solo nei ritratti macchiettistici dei Maestri cantori appollaiati su altissimi scranni durante gli scambi saccenti del primo atto, che diventano inquietanti e poliformi estensioni dell’ego di Sachs, sadico aguzzino di un Beckmesser nevrotico e alienato, al quale lo lega una dipendenza reciproca simile al rapporto tra Vladimir e Estragon del beckettiano Waiting for Godot (il paragone è dello stesso Erath). Ancora meno è quello concesso al folclore: cancellata del tutto la sfilata delle corporazioni (che senso avrebbe?), la fine, tutt’altro che lieta, è uno grottesco carosello psichedelico di cantori moderni (Pavarotti i Beatles, Elvis, i Kiss, Marilyn Manson e decine di altri ricreati con estro dal costumista Herbert Murauer) che richiama alla memoria il girotondo finale del felliniano 8 ½. Walther, l’uomo del sogno, si dilegua, Eva nel suo abito da sposa impazzisce e Hans Sachs, con accanto l’alter ego Beckmesser, legge da un foglio, con evidente disagio, il celebre (e problematico) monologo davanti al sipario chiuso. La grande scritta luminosa “Germania” scende su quella coloratissima folla immobile alla fine delle quasi sei ore, in cui si affastellano le immagini più diverse e gli spunti più disparati. Proprio da 8 ½ rubiamo una battuta di Marcello Mastroianni, il regista in crisi Guido Anselmi nel film: “Una crisi di inspiration? E se non fosse per niente passeggera, signorino bello?” Più di un dubbio resta.
Al timone della macchina musicale si ritrova Sebastian Weigle, il direttore musicale dell’Oper Frankfurt alla sua ultima stagione. Dopo il battesimo a Bayreuth nel 2007 nella produzione firmata da Katharina Wagner e oltre 55 rappresentazioni in sette diversi allestimenti, Weigle conosce perfettamente questa partitura wagneriana, ma non dà segno di abbandonarsi alla routine. Anzi, in questa nuova edizione sembra esaltare piuttosto la dimensione cameristica, ben sostenuto dai bravissimi musicisti della Frankfurter Opern- und Museumsorchester, ed evitare ogni retorica magniloquenza. Anche qui sorge il dubbio che si tratti di una scelta obbligata da un cast composto in gran parte dai cantanti dell’ensemble del teatro, difficilmente classificabili come wagneriani, e praticamente tutti al debutto nei rispettivi ruoli. Sia come sia, se questa edizione non è probabilmente destinata a entrare negli annali delle interpretazioni wagneriane, si fa certamente apprezzare per la coerenza dell’insieme. Nicholas Brownlee è un Hans Sachs di buona tenuta vocale, anche se ancora acerbo sul piano interpretativo. Lo stesso vale per la giovane Magdalena Hinterdobler al debutto nel ruolo di Eva, che mette comunque in luce con un buon potenziale. Più riusciti sul piano vocale e interpretativo il Veit Pogner di Andreas Bauer Kanabas, malgrado le stravaganze registiche, così come il serissimo Beckmesser di Michael Nagy, senza dubbio il migliore in campo, nel suo caso grazie alla particolare lettura registica ritagliata sulle sue possibilità. Di wagneriano ha pochissimo il Walther di AJ Gluckert che si difende più che dignitosamente nei momenti forti del ruolo, ma è nel complesso interprete legnoso. Molto bene la Magdalena di Claudia Mahnke, come sempre vocalmente affidabilissima e tutto sommato indenne alla prova di regia, e il David di Michael Porter risolto con grande disinvoltura. Ben affiatati i restanti Maestri cantori di Thomas Faulkner (Fritz Kothner), Samuel Levine(Kunz Vogelgesang), Barnaby Rea (Konrad Nachtigall), Michael Nagy (Sixtus Beckmesser), Jonathan Abernethy (Balthasar Zorn), Hans-Jürgen Lazar (Ulrich Eißlinger), Andrew Bidlack (Augustin Moser), Sebastian Geyer (Hermann Ortel), Anthony Robin Schneider (Hans Schwarz) e Božidar Smiljanić (Hans Foltz), come anche la pattuglia dei giovani apprendisti di Maren Favela, Chiara Bäuml, Helene Feldbauer, Guenaelle Mörth, Tianji Lin, Carlos Andrés Cárdenas, Donat Havár, Istvan Balota, Kiduck Kwon e Johannes Lehner. (Lehrbuben). Richiamato in servizio per l’occasione il veterano Franz Mayer, a lungo nell’ensemble del teatro, per il lunare guardiano notturno vestito da clown. Buona la prova del Coro dell’Oper Frankfurtpreparato da Tilman Michael, spesso invisibile, ma ben presente per il possente “Wach auf! Wach auf!” nell’ultimo atto.
Opernhaus gremitissima alla prima. Molti applausi e qualche contestazione indirizzata al team registico, ma, si sa, i vedovi delle sfilate delle corporazioni non mancano mai.
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