Birkin Tree 4.0
I primi quarant’anni di Birkin Tree nel nuovo disco, che conferma il valore della band irish italiana
I primi quarant’anni di Birkin Tree. Anzi, i loro anni 4.0, definizione che ben si incista nel vocabolario del terzo decennio dopo il 2000. In fin dei conti tutta la musica documentata dalle registrazioni ci racconta di stazioni, soste e ripartenze, di stasi e movimento. Di decenni che scorrono con passo lento, meditabondi, e di altri decenni che sono velocisti del tempo, comprimendo bolle sature di idee, di note, di pensieri.
Birkin Tree, uno degli ensemble davvero veterani per la musica gaelica in Italia, è nato in uno di quei decenni veloci e tumultuosi. Il 1982, nella musica popular l’anno di Thriller, di Laurie Anderson, del quarto disco di Peter Gabriel, dove premevano le note d’Africa e d’Asia e i synclavier.
Non c’era Internet, ma un formidabile tam tam generazionale fatto ancora di radio libere quasi pirata, di passaparola, di crocicchi molti affollati di discussione faceva sì che il “folk revival” avesse uno zoccolo duro ed esteso di appassionati che tanto più si specializzava nell’ascolto e nel suonare musiche popolari apparentemente “altre”, tanto più era disposto anche al confronto con tante altre famiglie di musiche: il jazz, le sperimentazioni pure, l’art rock.
I fremiti dell’uno e dell’altro campo sconfinavano spesso, abbattendo reticolati di definizioni. Premeva anche la sirena di un synth pop dai colori acidi e con molto gel sui ciuffi dei musicisti, ma i Birkin Tree sono stati pionieri anche in quel momento non esattamente facile per chi imbracciava violini e cornamuse.
4.0 è, ancora una volta, punto e a capo, in nome di quel felice equilibrio che mette in conto da un lato la riconoscibilità di fondo delle note del ceppo gaelico, anche quando di composizioni nuove si tratta, dall’altra la tensione verso il domani.
Di sicuro in 4.0 la band voluta da Fabio Rinaudo, uilllean pipes, anche tenace organizzatore di eventi che hanno a che fare con le note di valore, si è assestata su un equilibrio forte, e forte è l’inizio del disco subito con una pièce de resistance, gli undici minuti incantati e lievemente malinconici di pura melodia di "Paddy’s Rambles through the Park", cucitura di tre porzioni in cui cominciano a comparire le corde in nylon del chitarrista e vocalist scozzese Tom Steam, una nuova collaborazione che sembra già una realtà compiuta.
Steam in più brani si trova a duettare con la voce solista perfettamente ambientata nei Birkin di Laura Torterolo, talento multiforme da tenere d’occhio: cristallo sognante e limpido nelle note irlandesi, fata terragna e bluesy quando si immerge in un’altra porzione di vita, nelle note afroamericane. Ci sono altri strumenti ospiti, sull’impianto di base della band, completata da banjo e bouzouki di Claudio De Angeli, fiddle di Luca Rapazzini, flauti e whistles di Michel Balatti, anche compositore. Si tratta di Caitlin Nic Gabhann alla concertina, elfa fulva per tre volte campionessa del suo strumento in Irlanda, e di Ciaran O’ Manoaigh al fiddle, dalla scuola del Donegal, spesso ascoltata in duo con Caitlin.
Un’ultima citazione per Fabio Biale al pianoforte, per raccontare che qui, nei brani, si spazia dall’Irlanda al Québec, dall’Australia alla Liguria di Ponente e alla Scozia. La geografia gaelica segue (per nostra fortuna) mappe non euclidee da Alice oltre lo specchio.