"I Capuleti e i Montecchi”, spettacolo di punta del Bellini International Context
La figura del compositore catanese ripercorsa per più di un mese in varie traiettorie, dall’internazionale al regionale
Per il secondo anno consecutivo, la Regione Sicilia ha promosso – perlopiù attraverso i fondi europei PO-FESR – una nuova kermesse belliniana, aggregando un affollata squadra pool di partner istituzionali non solo catanesi: si va fino a Palermo e Messina, passando per Taormina, ma il capofila appare il Teatro Massimo Bellini, tanto che la direzione artistica complessiva è accreditata alla stessa guida artistica del teatro, Fabrizio Maria Carminati. Tabù, per pirandelliane vicende legali, qualunque denominazione che associasse le parole Bellini e festival, il nome della kermesse nel 2002 è stato BIC Bellini International Context, a voler mirare – probabilmente – alla dimensione indiscutibilmente internazionale dell’opera di Bellini, già durante la sua breve vita; in realtà, l’edizione ha dedicato molta attenzione al contesto regionale della sua attuazione, coinvolgendo appunto non solo le istituzioni, ma molte figure artistico-musicali impegnate nei più vari ruoli nelle più varie fogge di rilettura e riproposizione spettacolare di Bellini, tra reloading compositivi o improvvisativi, formule disciplinari miste, gala operistici in varie salse e così via. Tanta, forse troppa programmazione, prolungatasi per oltre un mese a partire dal primo settembre con appuntamenti quasi giornalieri, tanto che – in tale inflazione – le ultime date a pagamento sono state aperte all’ingresso libero, premiato in precedenza dal più confortante riscontro. Nulla di male, anzi: il dato territoriale più interessante potrebbe esser stato il decentramento gratuito di alcuni spettacoli operistici (non molti, nel programma) in centri della Sicilia dove, di teatro musicale, se ne vede poco o niente: a Tremestieri ad esempio, verso le pendici dell’Etna, si è vista una spigliata Rita di Donizetti (versione in italiano) ambientata da Gianmaria Aliverta in un paradossale lido marino di montagna, la cui trama oggi politically uncorrect è stata mediata con brillantezza comica dall’attore Gino Astorina; peccato però che l’avventurosa e frettolosa realizzazione in un anfiteatro all’aperto non abbia calibrato il suono amplificato (orchestra riverberata, voci no) e messo a volte in ambasce il rapporto tra la sicura e fluida bacchetta di Leonardo Catanalotto e le voci, peraltro professionali, di Nina Muho (solida Rita), Riccardo Benlodi (un Beppe che, microfonato, ha potuto non spingere e valorizzare un timbro da tenore leggero) e Francesco Vultaggio (ottimo Gasparo).
Da rodare anche alcuni appuntamenti nient’affatto di contorno: se gli aperitivi musicologico-performativi dedicati a eroine belliniane sono risultati efficacissimi latori di approfondimento drammaturgico-musicale e di spunti di reale proiezione europea nel contesto della produzione di Bellini (come quello curato da Luca Zoppelli su Norma), non si è capito perché la mostra di materiali legati alla cinematografia belliniana, che accompagnava una serie di interessanti proiezioni serali al Palazzo Platamone, dovesse spegnere le luci dei pannelli proprio in prossimità degli orari di proiezione, senza offrire ufficialmente un orario di visita alternativo.
L’allestimento di punta del BIC è stato quello nuovo di I Capuleti e i Montecchi, titolo dalla première veneziana nel 1830 – si era lì allora in territorio asburgico – che ha così coniugato dimensione internazionale dell’attività di Bellini e legame di questi con Catania: alla città natale dedicò la partitura manoscritta, in segno di riconoscenza per la borsa di studio fruita per gli studi a Napoli. La regia di Gianluca Falaschi ha collocato l’azione grosso modo ai tempi della première, focalizzandosi su Giulietta quale vittima del paternalismo familiare e delle conseguenti imposizioni: di lei si vede comparire in scena un doppio destinato alla morte non simulata, sicché quella reale finale prende le forme di una disperata quanto illusoria fuga, al termine del folgorante, modernissimo duetto declamato che riveste magistralmente la mutazione – notevole, quanto a coup-de-théâtre – rispetto al suicidio monologico dei due amanti in Shakespeare; il regista recupera tra le figure agenti anche i due aiutanti fatali (nutrice e frate), quali altri fantasmi presagenti la tragedia. D’altronde, nella riformulazione librettistica di Romani, a parte l’iniziale incognito di Romeo, la situazione è già definita, persino bloccata, fin da principio: da qui una certa cupezza espressiva delle plumbee scenografie, e un disporsi a impenetrabile muro o cerchio di chi agiva entro la scena spazialmente sghemba. Le due protagoniste, Ruth Iniesta (Giulietta) e Chiara Amarù (Romeo), pur debuttanti nel ruolo si sono dimostrate interpreti granitiche, sciorinando una notevole sicumera e un buon nitore nella vocalità, assai protesa nei numeri più virtuosistici o d’azione, ma non priva delle opportune nuance interpretative soprattutto nelle fasi cantabili; il Tebaldo di Marco Ciaponi ha invece valorizzato assai bene per opposizione i tratti introversi e quindi intimistici del personaggio, sui quali la regia aggiungeva il carico dell’instabilità da dipendenza dall’alcol; ben scolpiti e in parte sia il Capellio di Antonio di Matteo, sia il Lorenzo di Guido Loconsolo. Carminati ha diretto Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini ottenendo con buona continuità contrasti di colori, aiutato in questo da una strumentazione che non lesina piatti e grancassa, ma che – com’è noto – sa essere essenziale, e lirica non meno della condotta melodica delle voci. Applausi convinti per tutti. Lo spettacolo, trasmesso in diretta su Rai5, è ancora disponibile in streaming.
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