L’eterna adolescenza dei Verdena
Gli outsider del rock italiano tornano con Volevo magia
I Verdena rappresentano i jolly nel mazzo del rock nazionale, diversi e lontani da tutto il resto: refrattari alle sirene sanremesi, siano esse festivaliere o da Premio Tenco. Coltivano con puntiglio la propria alterità, trincerati ad Albino, in Val Seriana, nel bergamasco, dove concepiscono e registrano musica dentro un “pollaio” (Henhouse è appunto il nome del loro covo, ai piedi del monte Misma), stando alla larga da effervescenze metropolitane e comunicazione social: creature selvatiche, insomma.
Ogni tanto, quando sono pronti, riemergono dall’isolamento e mettono in mostra ciò che hanno prodotto, come accade adesso con Volevo magia: album numero sette in curriculum, distante altrettanti anni dai due volumi di Endkadenz. Annunciandone l’uscita, nel corso di una chiacchierata informale al bar, postata in video su Facebook dalla pagina di fan L’elefante blu, hanno detto che si tratta di “pop rock”.
E in effetti il biglietto da visita del disco, scelto per anticiparlo e posto in apertura di sequenza, suona insolitamente accattivante: una ballata scorrevole e cantabile chiamata “Chaise Longue”, da sdraiarcisi sopra, appena screziata da qualche pennata di chitarra elettrica.
A un certo punto, chissà perché, in quel brano fa capolino addirittura Stevie Wonder. E dopo ecco i McCartney, se interpretiamo correttamente il titolo della traccia successiva, “Paul e Linda”, dalla postura vagamente glam. Domanda un verso: “Fra le righe ti perdi mai?”. Quesito opportuno, considerate le circostanze: è risaputa la natura sibillina dei testi verdenici, infatti. «Le nostre canzoni non significano un cazzo. L’ho letto così tante volte scritto da altri che ormai ci credo pure io», affermava Alberto Ferrari – essendone autore – nella biografia Un mondo del tutto differente.
«Le nostre canzoni non significano un cazzo. L’ho letto così tante volte scritto da altri che ormai ci credo pure io» – Alberto Ferrari
Eppure… Setacciando le parole pronunciate qui, ne affiorano tre ricorrenti. “Incontreremo Dio”, proclama il primo pezzo citato, e “Tira fuori il Dio cash”, intima su registro blasfemo il secondo, mentre il vortice psicopatico di “Crystal Ball” contiene invece un atto di sottomissione: “Se Dio è grande, resto nel gregge”.
Quest’ultimo fa eco a quanto si ascolta in mezzo al greve fragore metal di “Pascolare”: “Riposerai, ora sei nel gregge”. E infine, con andamento nottambulo e palpiti psichedelici dall’iperspazio, all’epilogo arriva “Nei rami”, che riverbera l’invocazione espressa durante “Certi magazine”: “Torna nei rami miei”.
Cercando indizi d’intenzioni, potremmo soffermarci ancora sull’orbita della “palla di cristallo”: “Sete di grandi idee, suono che vibra in gocce”. Oppure, più calzante all’indole dei Nostri: “Piani non ne ho, ho solo mille forse”, ammissione dissimulata nel furore hardcore dell’episodio che intesta l’intero album.
Brandelli di senso estorti a un flusso di coscienza mosso da motivazioni fonetiche anziché semantiche, nel quale l’emozione sovrasta la razionalità. Nonostante siano in carriera da un quarto di secolo e abbiano varcato ognuno la soglia dei 40 anni, i Verdena conservano spirito da adolescenti: lo si percepisce nell’alternanza dispettosa di tenerezza (la deliziosa vulnerabilità di “Sui ghiacciai”) e violenza (il malevolo riff che agita “Dialobik”). È ciò a renderli speciali: magnificamente immaturi.
Cosicché hanno successo, ma a modo loro: la tournée in agenda dal 29 ottobre al 30 novembre ha infilato già una raffica di “sold out”.