L’Otello conclude la triade operistica del ROF 2022
Direzione incisiva e drammatica di Yves Abel, ottima compagnia di canto e regia asciutta ed essenziale
La Sinfonia fa temere che la regia di Rosetta Cucchi abbia preso la direzione sbagliata, con la proiezione su un grande schermo di titoli di giornali che parlano di femminicidi (tematica quanto mai attuale e tragica, ma è così che la si affronta in un’opera?) e con un misterioso andirivieni di persone in palcoscenico. Alla fine della Sinfonia lo schermo scompare e ci troviamo in una sala dalle fredde e squadrate pareti di marmo (scene di Tiziano Santi) affollata dagli invitati ad una festa, gli uomini in smoking e le donne in abito lungo (costumi di Ursula Patzak). In questa ormai consueta ambientazione moderna, collocabile tra il 1930 e il 1950, può succedere di tutto e il contrario di tutto e quindi siamo ancora sospesi e un po’ timorosi. Questi dubbi sono presto fugati da uno spettacolo asciutto, drammatico e perfino violento, ma anche delicato e commovente nel narrare le sofferenze di Desdemona, smarrita in quel mondo di uomini che la amano o dicono di amarla ma che ne causeranno con pari responsabilità la morte, anche se alla fine ad impugnare il pugnale omicida sarà Otello, a sua volta vittima di quel mondo che lo rifiuta come “diverso”. E pazienza se non c’è più la sala del senato veneziano, con il popolo festante sullo sfondo e più in fondo ancora le navi veneziane, come indica il libretto nella prima scena dell’atto: indubbiamente Venezia è un soggetto massimamente scenografico, ma gli ambienti chiusi e opprimenti di questo allestimento sono funzionali al montare inesorabile del dramma di Desdemona, Otello e Rodrigo, fino al finale dell’atto, quando il matrimonio con Rodrigo imposto a Desdemona dal padre Elmiro è interrotto dall’arrivo improvviso e furente di Otello.
Anche nei due atti seguenti la regia prosegue su questa linea di concisa drammaticità. Tanto più stonano alcune trovate bizzarre, come il duello col metodo della roulette russa ingaggiato da Otello e Rodrigo durante il loro terzetto con Desdemona nel secondo atto.
Se la Sinfonia è uno scivolone per la regia, per Yves Abel à l’occasione di far subito capire che sua la direzione sarà vigorosa e drammatica e non si lascerà fuorviare dalla tradizionale visione di un Rossini classico e olimpico, che nelle sue opere serie si limiterebbe a rivestire le parole di belle melodie, di prodigi vocali e di una brillante orchestrazione. Invece la cui forza tragica di Otello fu riconosciuta già alla prima a Napoli nel 1816 e quest’opera rimase tra le opere più amate per tutto il periodo romantico, finché non fu eclissata dall’Otello di Verdi. Abel trova i tempi giusti, incalzanti ma non precipitosi, mette in rilievo l’incisività dell’orchestrazione, sottolinea le molte soluzioni armoniche audaci e di sapore già romantico, esprime la forte drammaticità dei recitativi, dà valore alle novità formali che più volte superano le tradizionali divisioni in pezzi staccati dell’opera italiana del tempo. Fa tutto questo senza forzare la mano ea restando nel quadro dello stile dell’epoca. Certamente le orchestre italiane dell’epoca difficilmente avrebbero saputo raggiungere l’impressionate violenza del temporale che si scatena poco prima dell’uccisione di Desdemona, ma Abel fa bene a sfruttare l’ottimo strumento che ha a sua disposizione, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Perfetta la compagnia di canto. Eleonora Buratto è una grande Desdemona, dall’espressione delicata e commovente ma anche energica e forte, quando necessario. I tre tenori protagonisti sono diversi tra loro ma parimenti ottimi. Otello è Enea Scala, che sa unire l’energia all’agilità del bel canto e i passaggi ombrosi da baritenore agli acuti squillanti. Dimitry Korchak è Rodrigo - non un condottiero come Otello ma un giovane innamorato di una donna che non l’ama - quindi è più lirico, più leggero e anche più propenso a svettare nel limpido registro acuto. Nel registro acuto si muove con estrema facilità anche Antonino Siragusa e non disturba il suo timbro un po’ asprigno, anzi si adatta a pennello al perfido e insinuante Jago. Il basso Evgeny Stavinsky è Elmiro, il padre di Desdemona, nobile e altero ma spietato e inflessibile. Molto bene Adriana Di Paola (Emilia, che qui ha una parte molto più importante che in Verdi) e bene anche Antonjo Garés (il Doge) e Julian Henao Gonzalez (Lucio e Gondoliere) nei loro brevi ma importanti interventi.
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