Il mistero di Oliver
Il primo – e unico – disco di Oliver Chaplin, Standing Stone, piccolo capolavoro di psichedelia e rock del 1974 che non ebbe seguito
In questi tempi in cui acquistare un disco in formato fisico è un gesto di coraggio inaudito, più o meno equivalente a farsi da Milano a Reggio Calabria in bicicletta, se c’è un settore in cui questa regola non vale (o almeno è un po’ più contenuta) è quello delle ristampe. Si accorda sempre più fiducia a un titolo storicamente consolidato che a una novità, e gli ascoltatori ancora disposti a investire sulla musica (i soliti boomer, ça va sans dire) hanno questa propensione a comprare l’ennesima rimasterizzazione di The Dark Side of the Moon se solo c’è un demo inedito di 35 secondi non presente nell’ultima edizione.
Poi, per fortuna, ci sono anche ristampe che hanno il pregio di riscoprire titoli di grande valore che però, per una serie di circostanze avverse, non hanno avuto in passato la diffusione che avrebbero meritato. Dischi che sono un ultra culto per pochissimi, originariamente stampati magari in poche centinaia di copie e senza distribuzione, e che le rare volte che compaiono su Discogs valgono centinaia (o addirittura migliaia) di euro.
È questo il caso di Standing Stone, opera prima nonché unica del misterioso Oliver Chaplin, pubblicata originariamente nel 1974. Nato in una famiglia di contadini della contea del Suffolk, Oliver si scopre già da ragazzino una particolare vena musicale ispirata al blues e al primo rock’n’roll, e comincia a suonicchiare in famiglia, con l’aiuto dei 4 fratelli.
Uno di questi si troverà un giorno a lavorare per la BBC e, riuscendo a sfruttare i mezzi dell’emittente, a registrare questo album su 4 piste in tiratura casalinga. Ci sarà poi la storia incompiuta di una distribuzione Virgin mai finalizzata, ma anche la fierezza di Oliver a non volersi mai considerare all’interno del circo del rock’n’roll – avrà poi infatti un’esistenza molto più tranquilla e regolare, senza mai impegnarsi a sfondare come musicista.
Per qualche motivo insondabile, la riscoperta casuale di Standing Stone nei primi anni Novanta lo fa diventare un disco di culto; viene ristampato una prima volta in quel periodo, e poi scompare nuovamente fino a questa recente pubblicazione della benemerita label spagnola Guerssen.
E in verità questo ci permette di (ri)scoprire un disco veramente riuscito che merita molto più di un ascolto. L’impressione immediata è quella di avere a che fare con un irregolare assoluto, un genietto che non si cura di aderire a uno stile o a una moda, e si esprime invece nel modo più libero e personale possibile; tutti i riferimenti ipotizzati ex post saranno infatti poi smentiti dal diretto interessato, che cita come possibili influenze appena «la chitarra blues di Robert Johnson, e forse Elvis e Chuck Berry».
Strano a credersi, viste le molteplici suggestioni causate dall’album: dal folk psichedelico nella vena di Mr. Fantasy (“Off On A Trek”, “Flowers On A Hill”) alle cavalcate di rock elettrico molto più sostenuto (“Trance”, un vero tour de force) o distorto in suono e formato (le stupefacenti “Cat And The Rat” e “Motorway”); e poi ancora il blues di marca beefheartiana (“Freezing Cold Like an Iceberg”, “Telephone”, “Where’s My Motorbike”) o addirittura zeppeliniana (“Getting Fruity”, con un lavoro di chitarra notevolissimo, “Primrose”, “In Vain”), classici finger picking (“Tricycle”, “Instamati”), e contrasti hard-acustico che potrebbero rimandare ai Family (“Royal Flush”).
Chissà se questo disco, opportunamente promosso e distribuito, sarebbe diventato un successo o rimasto ad appannaggio di pochi. Certo è un bel rammarico vedere che canzoni di questa qualità siano rimaste nell’ombra così a lungo; ma non è mai troppo tardi per riscoprirle. Fatevi sotto.