Acis et Galatée, l’amore danza con Lulli-Lully
Ottimo successo per Acis et Galatée al Maggio Musicale Fiorentino con Federico Maria Sardelli sul podio
Incredibile ma vero, a quasi un secolo dalla fondazione della Stabile Orchestrale Fiorentina, attuale Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, e dalla creazione del festival, si dà per la prima volta nell’omonimo teatro, nella nuova sala Mehta da mille posti, un’opera di Giambattista Lulli – Jean-Baptiste Lully, nato a Firenze e nel 1632 e morto a Parigi nel 1687, dopo una carriera strepitosa che lo portò ai vertici della musica francese, di cui assimilò e fissò alcuni caratteri peculiari, creando e definendo inoltre il genere per eccellenza della musica teatrale francese, la tragédie lyrique. Per la precisione, si tratta, nel caso di Acis et Galatée, non di una tragédie lyrique bensì di una più svelta “pastorale eroica” in un prologo e tre atti, nata nel settembre del 1686 per una celebrazione, la visita al castello d’Anet del delfino Luigi, figlio del Re Sole Luigi XIV sotto i cui auspici Lully aveva avuto il suo straordinario decollo.
Pur con questo taglio drammaturgico e musicale più leggero, si tratta dunque, pur sempre, nel caso di Acis et Galatée, dell’ultimo lavoro teatrale compiuto di Lully, che rievoca il mito narrato da Ovidio, la trasformazione in fiume del pastorello ucciso dal brutale Polifemo, perché possa unirsi per l’eternità all’amata ninfa oceanina Galatea (poco dopo, com’è noto, Lully sarebbe morto per l’infezione della ferita che si era inflitta al piede con il puntale del bastone direttoriale). Le parti vocali e corali di Acis et Galatée sembrano forse in parte condizionate da questa richiesta di una certa cerimoniosa “facilità”, legata alle circostanze che abbiamo detto, e non ci sono sembrate presentare i tratti di interesse, originalità e genialità che troviamo in altri lavori come Atys, Armide o Isis, contentandosi di disposizioni standard di recits sviluppantisi in arie sentenziose ed eleganti, spesso rafforzate dalle repliche fedeli del coro.
In compenso, dilaga la danza, come numeri a sé e come commento incessante alle sezioni vocali, e qui per l’ennesima volta, ma con particolare evidenza, la danza ci è apparsa come il principio primo e formante della musica francese (pensiamo del resto all’importanza avuta dalla musica per danza nei primi anni della carriera di Lully), in un equilibrio delizioso fra contegnosità e naturalezza. Ciò è avvenuto grazie alla direzione di Federico Maria Sardelli, che ancora una volta ha saputo rendere con perspicuità e incisività quella lieve ma vitalissima corrente elettrica che scorre sotto queste danze e in generale sotto la musica francese del Grand Siècle. Le danze di Acis et Galatée hanno goduto della deliziosa interpretazione coreografica di Gudrun Skamletz che era in scena insieme a Caroline Ducrest, Robert Le Nuz e Alberto Arcos, in una reinvenzione che fondeva i passi tipici della danza francese del Sei-Settecento, come li abbiamo conosciuti in tanti spettacoli di taglio filologico, con qualcosa di molto spontaneo e fresco, talora giustamente venato di spunti comici come nella scena di Polifemo accompagnato dal suo seguito danzante sulle note degli zufoli pastorali. La regìa, i costumi e le scene (Benjamin Lazar con Elizabeth Calleo, Adelin Caron, Alain Blanchot) proponevano in termini semplici ma, diremmo, azzeccati, un mondo pastorale con abiti più o meno moderni per gli umani e i panneggi dei divini.
Il cast aveva i suoi punti di forza nella deliziosa Galatea di Elena Harsanyi e nell’efficace Polifemo, basso, di Luigi De Donato, più sfocato Jean-François Lombard come Acis, da segnalare per prestanza vocale anche Francesca Lombardi Mazzulli, che era l’Abbondanza nel prologo e in altri ruoli negli atti, ma nel complesso il cast, pur appropriato stilisticamente e ben partecipe al gioco scenico, faticava a varcare la piccola orchestra, e in definitiva non ci è sembrato del tutto all’altezza dell’occasione di un primo Lulli-Lully al Maggio. Magnifica risposta, invece, da parte dell’orchestra a ranghi ridotti e al coro, anch’esso di piccole dimensioni, istruito da Lorenzo Fratini, e collocato nella buca. Successo molto vivo.
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