Una moderna sacra rappresentazione francescana al Ravenna Festival
Transitus di Cristian Carrara rappresentato sette volte nella basilica di San Vitale
Dopo aver commissionato l’anno scorso a Mauro Montalbetti un brano specificamente destinato all’esecuzione nella basilica di San Vitale, il festival di Ravenna ha proseguito su questa strada e si è rivolto ad un altro dei compositori italiani più in vista della generazione dei quaranta-cinquantenni, Cristian Carrara. Un personaggio poliedrico, che alla composizione e all’insegnamento in conservatorio affianca l’attività di consulente e direttore artistico di varie istituzioni musicali (ieri il Teatro Verdi di Trieste, l’Orchestra della Toscana e il Teatro Pergolesi di Jesi, oggi un altro Teatro Verdi, quello di Pisa) e anche l’attività politica (fino al 2018 è stato consigliere regionale e presidente della Commissione cultura del Lazio). Se si focalizza l’attenzione sulla sua attività di compositore, si riscontra un’attività parimenti variegata: ha composto otto lavori teatrali e un ragguardevole numero di lavori per la sala da concerto e ha anche scritto insieme ad Antonella Ruggiero Canzone tra le due guerre, presentata al festival di Sanremo nell’ormai lontano 2007. Ed è uno dei pochi compositori contemporanei italiani di primo piano a riservare nel suo catalogo un posto tutt’altro che secondario alla musica d’ispirazione religiosa.
Il lavoro con cui ha risposto alla commissione del festival ravennate ne è un esempio. Il titolo è Transitus, il sottotitolo Il cielo di Francesco. Carrara stesso spiega di aver attinto, rielaborandolo, al corpus liturgico di canti gregoriani che si è consolidato subito dopo la morte del poverello di Assisi e che è andato a formare la cosiddetta liturgia del Transito di Francesco, cantata ancora oggi nei conventi francescani il 3 ottobre, anniversario della morte del santo. Ad intonare quei canti in Transitus è il piccolo coro formato da quattro voci maschili. Carrara ha poi selezionato dalle fonti antiche (soprattutto Bonaventura da Bagnoregio) alcune frasi che Francesco ha detto in vita e soprattutto in punto di morte: ad “interpretare” Francesco è un baritono.
È una musica di semplicità – vorrei dire povertà, se questa parola non rischiasse di essere fraintesa – francescana. Per il piccolo coro Carrara rielabora le monodie dell’antica liturgia, attribuendo però un minimo di indipendenza alle quattro voci - come nella prepolifonia che si andava sviluppando proprio in quei tempi - ma conservando le linee fondamentali dei canti medioevali e soprattutto la loro spiritualità. A Francesco attribuisce una declamazione che, pur non riallacciandosi a precisi modelli medioevali, ha anch’essa un sapore arcaico e rituale ma in qualche momento è accesa da un’espressione più moderna, in cui emergono le emozioni individuali del personaggio. Coro e solista si uniscono soltanto nell’ultimo brano, “Benedicamus Domino”.
Per quel che concerne gli strumenti, l’armonium sorregge le voci con semplici armonie. Le sonorità degli archi sono molto discrete, spesso appena un pulviscolo sonoro che avvolge le voci. Hanno però un ruolo protagonistico e un linguaggio più moderno - ma sempre di moderata modernità - nelle due “Meditazioni” riservate ai soli strumenti.
Un contributo fondamentale alla suggestione di questa musica viene anche dalla basilica di San Vitale immersa nella penombra del crepuscolo, dalle risonanze della sua particolarissima acustica e dalle possibilità di spazializzazione del suono, come quando la voce di Francesco giunge dall’alto dei matronei. Ma non è un’opera “site specific” in senso stretto, perché potrebbe essere eseguita in qualsiasi altra chiesa. Non è invece pensata per essere eseguita e ascoltata in concerto o in teatro, perché - come precisa Carrara - questa è una vera e propria “sacra rappresentazione”, che vuole dare nuova vita a questa liturgia medioevale. Non è un dettaglio, ma un aspetto fondamentale di questa musica, che la rende sottilmente diversa dalla musica del compositore che a prima vista sembrerebbe più vicino a Carrara, ovvero Arvo Pärt, nella cui musica l’elemento estetico - l’idea originale, l’elaborazione artistica - è predominante. Nella musica di Carrara predomina invece il momento sacro e devozionale, tuttavia anche l’ascoltatore laico viene toccato e coinvolto da questo rito semplice, essenziale, pervaso di misticismo.
Proprio per preservare quest’atmosfera mistica, poche decine di persone erano ammesse ogni sera a San Vitale e quindi Transitus è stato eseguito per sette giorni consecutivi per accogliere un più alto numero di ascoltatori. Ne erano interpreti il baritono Clemente Antonio Daliotti, le quattro voci maschili dell’ensemble vocale Ecce Novum diretto da Silvia Biasini, i quattro strumenti ad arco dell’ensemble Tempo Primo e Andrea Berardi all’armonium. Tutti indossavano il saio francescano.
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