Griselda nella selva dei ricordi
Al Teatro Malibran di Venezia prosegue il ciclo vivaldiano con “La Griselda” su libretto adattato da Carlo Goldoni ispirato al racconto di Giovanni Boccaccio
Vivaldi a Venezia atto quinto. Prosegue con successo il ciclo vivaldiano inaugurato quattro anni fa dal Teatro La Fenice al Teatro Malibran con l’Orlando furioso. In questa stagione è la volta di uno dei capolavori riconosciuti del Vivaldi operista: La Griselda, composta per il Teatro di San Samuele nel 1735, riadattando il libretto di Apostolo Zeno del 1701 messo in musica da Carlo Francesco Pollarolo per il Teatro di San Cassiano, ma in seguito anche da Albinoni, Sarro, Bononcini e Caldara per citare solo i compositori più noti e, dopo Vivaldi, anche da Jommelli, Piccini e Paer.
Non disponibile Zeno, l’adattamento del libretto fu affidato a un giovane Carlo Goldoni dall’impresario del San Samuele, nonostante l’ostilità di un Vivaldi già maturo (evidentemente ricambiata dal commediografo, che lo definisce “eccellente sonator di violino e mediocre compositore” nelle sue Mémoires). L’iniziale diffidenza si tramuta in autentico entusiasmo davanti a una prova di bravura del giovane poeta che seduta stante, adatta alle possibilità vocali di Anna Girò o Giraud, prima interprete della vessatissima protagonista. Anche la fonte del libretto porta una grande firma della letteratura: Griselda è infatti la protagonista della decima novella del decimo giorno del Decameron di Boccaccio, dunque l’ultima delle 100 novelle della raccolta. Un racconto che godette di grande fortuna soprattutto grazie alla versione in latino di Petrarca, che esaltò soprattutto le virtù cristiane della donna martire dell’inspiegabile crudeltà del nobile consorte. Nel corso dei secoli successivi la si ritrova nel racconto del chierico dei Canterbury Tales di Chaucer e in svariati lavori dalla Scandinavia ai paesi del bacino Mediterraneo.
Nella metamorfosi da racconto a melodramma l’azione si sposta dal Monferrato di Boccaccio alla Sicilia di Zeno e, nell’adattamento vivaldiano, alla Tessaglia, già patria di un altro esempio di virtù coniugale come Alceste. Ma non è il solo cambiamento: nel passaggio da marchese di Saluzzo a re di Tessaglia si addolciscono i anche tratti marcatamente sadici di “selvaggia bestialità” di Gualtiero, che, come un marito annoiato e insicuro, spinge la moglie inconsapevole a un gioco crudelissimo, sfiorando persino un sospetto di incesto, per testarne la coriacea fedeltà. Insomma, il teatro della crudeltà di Boccaccio cede alle tradizionali convenzioni melodrammatiche dell’epoca, che stemperano certe spigolosità narrative in una più conciliante drammaturgia degli affetti.
Sul piano musicale, Diego Fasolis risolve pienamente quella drammaturgia puramente musicale in una lettura dai tratti marcatamente intimistici come si coglie nei contrasti dinamici attenuati e nel brunito colore orchestrale di grande omogeneità richiesto e ottenuto dagli ottimi archi dell’Orchestra del Teatro La Fenice, ormai pienamente aderenti e intonati ai precetti dell’esecuzione storicamente informata. Stilisticamente impeccabile la compagine vocale, che ha in Ann Hallenberg una straordinaria protagonista per misura, gusto musicale e intensa espressione. Non è da meno l’estroversa Michela Antenucci come Costanza, cui spettano le arie più note dell’opera, risolte con brillante tecnica vocale e timbrica accattivante. Kangmin Justin Kim è un Ottone acrobatico e disinvolto sia vocalmente che scenicamente, in contrasto con il più introverso e fragile Roberto di Antonio Giovannini. Buona anche la prova di Rosa Bove come Corrado, mentre Jorge Navarro Colorado come Gualtiero, dopo un inizio difficile, recupera sul piano dell’agilità vocale ma resta un po’ irrisolto sul piano espressivo.
Lo spettacolo firmato da Gianluca Falaschi, alla terza regia lirica dopo una relativamente lunga e luminosa carriera di costumista, si distingue soprattutto sul piano dell’eleganza, in particolare dei costumi ma anche delle lineari scelte scenografiche: un interno affacciato su un bosco, che, nella seconda parte dello spettacolo, invade la scena, quasi come un’entità metafisica che riverbera i ricordi del vissuto tragico della prostrata protagonista. Più che idee, che davvero abbondano, manca soprattutto una credibile e stringente sintesi drammaturgica, che, come si intuisce da alcune situazioni da “teatro della crudeltà” sulla scena, andrebbe forse cercata più in Boccaccio che in Zeno o Goldoni.
Applausi generosi a tutti gli interpreti alla prima, con solo qualche isolato fischio (immeritato) al team registico.
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