Salonen illumina Ferrara Musica
Un'altra lettura del concerto che Esa-Pekka Salonen con l’Orchestre de Paris ha portato a Torino, Ferrara e Milano
Appuntamento conclusivo del filone orchestrale-sinfonico ospitato nel cartellone di Ferrara Musica, il concerto offerto alcune sere fa da Esa-Pekka Salonen alla guida dell’Orchestre de Paris al Teatro Comunale di Ferrara ha rappresentato la significativa tappa centrale di un tour che ha toccato prima la città di Torino e in seguito quella di Milano, per una serata ospitata al Teatro alla Scala della quale abbiamo dato conto qui.
E proprio per il carattere peculiare che ha connotato l’esibizione del direttore finlandese alla testa della compagine parigina, vogliamo proporre una seconda restituzione critica di un’occasione musicale che, sulla scorta di un programma comune, abbiamo avuto l’interessante opportunità di seguire in contesti diversi, sedendo tra pubblici differenti.
Venendo dunque alla serata ferrarese, diciamo subito che la densità sonora espressa dalla compagine orchestrale parigina ha trovato una risposta acustica efficace da parte di una sala teatrale per l’occasione gremita, il cui palcoscenico veniva interamente occupato dai componenti dell’orchestra. Un dato che, oltre alla prerogativa rappresentata da una dimensione tendenzialmente raccolta e non dispersiva, ha avuto il vantaggio di restituire in maniera immediata la trascinante reattività di una formazione strumentale estremamente coesa, sia dal punto di vista dinamico sia da quello timbrico-strumentale.
Caratteristiche le cui peculiarità sono emerse fin dalla prima parte del programma, aperta da un’esecuzione della Pavane pour une infante défunte di Maurice Ravel segnata da una compostezza di accenti che sono migrati dagli ottoni agli altri fiati fino ad arrivare agli archi seguendo quel caratteristico filo melodico che lega con misura dolce e un poco malinconica questa pagina del compositore originario di Ciboure.
Una misura che ha trovato nel brano successivo un territorio sinfonico dal carattere decisamente differente, nel quale l’eloquente gestualità di Salonen si è inoltrata con passo risoluto restituendo quella sorta di progressione espressiva incardinata su una cifra virtuosistico-orchestrale che raggiunge l’apice nella parte conclusiva della Suite dal Mandarino meraviglioso di Béla Bartók. Una pagina intrisa di ispirata suggestione, che ha trovato proprio nell’intreccio serrato delle battute finali la restituzione cristallina e plastica assieme della coesione dinamico-strumentale della formazione parigina.
Un dato poi ribadito in maniera più distesa e dilatata nella seconda parte del programma, abitata dalle diverse declinazioni incarnate dalle cinque parti che compongono la Symphonie fantastique di Hector Berlioz. Una sorta di affresco sinfonico la cui riconosciuta varietà di accenti ha preso forma in una materia sinfonica che l’Orchestre de Paris ha tratteggiato con una misura al tempo stesso sofisticata e pregnante, plasmata dallo stesso Salonen attraverso una lettura caratterizzata da una agogica misurata ma sinuosa e da una densità timbrica policroma ma lucida.
Un’interpretazione, quella offerta appunto da Salonen, che potremmo definire caratterizzata da una sorta di luminosa essenzialità, assecondata con reattiva densità espressiva da un’Orchestre de Paris che si è confermata formazione compatta ed efficace anche alla luce dei due bis proposti a programma terminato e rappresentati da Le jardin féerique da Ma mère l’oye di Ravel, e Vorspiel dall’atto III dal Lohengrin di Wagner.
Pagine che hanno confermato la lucida e trascinante vivacità di lettura del direttore finlandese, salutato assieme alla compagine orchestrale parigina da un bel successo suffragato dai calorosi, ribaditi e convinti applausi del pubblico presente.
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