La vibrante essenzialità di Myung-Whun Chung
Il direttore coreano alla guida dell’Orchestra del Teatro La Fenice in un intenso concerto tra Beethoven e Mozart
«Io credo che Cielo e Terra tremeranno quando verrà eseguita», scriveva Ferdinand Ries a Nikolaus Simrock, nell’ottobre del 1803, commentando l’Eroica interpretata al pianoforte da Beethoven.
Questo turbine di energia ha attraversato il Teatro Malibran ieri sera, durante la vibrante esecuzione di Myung-Whun Chung alla guida dell’Orchestra del Teatro La Fenice, nell’ambito di un concerto diffuso in diretta streaming sul canale YouTube del teatro veneziano e sulla homepage de “Il giornale della musica”.
Il direttore coreano offre del capolavoro beethoveniano una lettura profondamente unitaria, capace di individuare le linee di forza dell’imponente architettura formale senza mai indulgere a cedimenti retorici.
Un’essenzialità ottenuta attraverso un potente lavoro di analisi e sintesi del testo beethoveniano. Non c’è parte, anche secondaria, che non venga valorizzata ed equilibrata nell’insieme. Ogni particolare è funzionale all’interno di questa visione che esalta l’interdipendenza tra tutte le componenti della scrittura e tra le diverse sezioni strumentali.
Ma l’autentico segreto di Chung risiede soprattutto nel sapere individuare e guidare i momenti chiave della trasformazione nell’irruente e incessante processo di metamorfosi cui Beethoven sottopone il materiale motivico.
La drammaturgia del suono, l’alternanza dialettica tra stasi e azione vissuta intensamente nel qui e ora ma sempre rapportata a una visione di ampio respiro, si incarna in un gesto ove converge plasticamente la tensione che anima tutto il corpo di Chung. Nell’aria si disegnano audaci calligrafie, prontamente tradotte dall’orchestra veneziana che diventa un organismo unico con il direttore.
Tra i momenti rivelatori da ricordare le pieghe modulanti dello sviluppo nel primo movimento, che oscurano la tonalità portando alla comparsa del nuovo tema in mi minore; la tragica espressività del fugato nella Marcia Funebre, ostinatamente protesa verso la speranza; la leggerezza e la cura dei piani sonori nello Scherzo, connesso quasi senza soluzione di continuità al Finale, e l’intimità del Poco Andante, episodio incastonato a sorpresa nell’Allegro molto conclusivo, ove appare il richiamo velato alle atmosfere dolenti della Marcia Funebre.
La visione organicistica di Chung emerge anche nella lettura del Concerto per pianoforte e orchestra K 488 di Mozart, proposto in apertura di serata.
Per il Maestro coreano, impegnato nella doppia veste di direttore e pianista, il solista è un primus inter pares. Lo strumento a tastiera emerge dall’orchestra come una delle molte componenti che contribuiscono ad articolare il discorso musicale e il suo virtuosismo alimenta il motore ritmico e armonico della partitura, guidandone la direzione e le pulsioni modulanti.
Il suono di Chung non ricerca l’eufonia, sembra piuttosto orientato a esaltare la valenza neutra del colore pianistico perché la limpidezza del timbro valorizzi per contrasto la morbidezza degli impasti orchestrali. Emozionante la ripresa dell’Adagio, scossa da una disperazione fatale e singhiozzante.
La dedica segreta di questo concerto appare nel bis offerto in conclusione della prima parte, la Träumerei dalle Kinderszenen di Schumann: “un pensiero per i bambini in questo momento difficile”, dice sottovoce Chung.
A suggerire che l’eroismo autentico, quello a cui Beethoven potentemente ci richiama, affonda le sue radici nel rispetto della fragilità, dell’innocenza e dei valori più puri dell’umanità.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Bergamo si chiude il Donizetti Opera con un notevole “Roberto Devereux”, un deludente “Don Pasquale” e l’interessante recupero di “Zoraide di Granata”
Efficace riproposizione in forma d’opera dell’omonimo film di Ingmar Bergman