Il primo merito dell’autobiografia di Claire Gibaud (Claire Gibault, Direttrice d'orchestra. La mia musica, la mia vita, add editore 2022, pp. 175, € 18) è il linguaggio schietto e diretto che sfata l’immagine di chi sta sul podio come autoritaria e onnisciente.
Nel raccontare i suoi anni di formazione, a partire dal complicato legame col padre suonatore di tromba, dalle letture, mostra come le qualità primarie per fare musica senza uno strumento siano l'incoscienza e la caparbietà. Per lei è stato anche importante, lo confessa candidamente, il desiderio di mettere ai suoi piedi i rappresentanti dell'alta borghesia dalla quale si sentiva esclusa.
Gibaud segue poi passo passo la sua carriera, il primo successo mediatico quando su "France Soir" è comparsa la recensione di un suo concerto sotto l'articolo che descriveva il primo sbarco dell'uomo sulla luna, un accostamento simbolico e benaugurante. I difficili rapporti all'opera di Lione come assistente di John Eliot Gardiner, grandissimo interprete, ma tirannico, per lei anche pericoloso in quanto ha tentato di imitarne anche gli atteggiamenti sbagliati. Poi la "deviazione formativa" di un Flauto magico realizzato coi bambini che in qualche modo le ha lasciato un fermento, mai sopito, e oggi l'ha indotta a formare la Paris Mozart Orchestra proprio per i giovani.
Nel corso del tragitto direttoriale Gibaud dedica parecchie pagine a Claudio Abbado, di cui è stata assistente per l'ultima opera da lui diretta alla Scala, Pelléas et Mélisande, e le difficoltà incontrate poi con la trasferta a Vienna per il fatto d'essere donna che le impediva di salire sul podio a preparare gli orchestrali maschi. Le pagine dedicate a questo problema, di cui s'incomincia a parlare con un bel po' di ritardo, sono illuminanti per l'analisi dei tanti preconcetti ancora difficili da sciogliere. Di seguito l'appassionante lavoro con Abbado a Bologna per formare l'Orchestra Mozart, la collaborazione col maestro al momento della nascita della Mahler Jungenorchester, l'amicizia con Fabio Vacchi di cui ha diretto La station termale a Lione, al Lirico di Milano (ai tempi secondo palcoscenico della Scala), all'Opéra Comique di Parigi, e Les oiseaux de passage.
A fianco delle evocazioni professionali, molti capitoli sono dedicati alla vita privata o non musicale, forse i più sorprendenti per il lettore. L'adozione come single di due bambini del Togo, che le è costata la rottura di una lunga relazione amorosa, ma le ha soddisfatto il desiderio di maternità; i cinque anni di esperienza come parlamentare europea a Bruxelles dove in aula spesso si parla solo per parlare; l'incontro forse più importante della sua vita con padre Symeon, un saggio monaco ortodosso, che l'ha guidata su un percorso difficile da definire, se di ricerca dell'assoluto, se sapienzale, ma con una sorta di delicatezza socratica che a lei ha chiarito molte cose. Prima fra tutte l'impegno di allevare al meglio i due figli, di avere un rapporto paritetico con gli orchestrali (anche di tipo economico) e di diffondere la passione per musica fra le nuove generazioni.