Il ritorno di Maurizio Pollini a Roma dopo cinque anni
Beethoven, Schumann e Chopin nel programma del suo concerto a Santa Cecilia
È tornato! Maurizio Pollini è tornato a Roma. Per decenni è stato ospite abituale dell’Accademia di Santa Cecilia, ma ora sono passati cinque anni – ci si è messo di mezzo anche il Covid – dall’ultima volta che lo si era ascoltato e nel frattempo ha compiuto ottant’anni. È naturale che l’età cominci a pesare ma lo spirito è sempre quello e lo si vede già dal programma da lui scelto, che allinea i suoi tre autori preferiti, Beethoven, Schumann e Chopin.
In questo programma lungo e irto di difficoltà era facile soltanto il brano di apertura, la Bagatella op. 126 n. 3 di Beethoven, che testimoniava come Pollini, che ha sempre abbagliato per la capacità di rendere con stupefacente precisione, nitidezza e razionalità i brani più complessi, abbia anche il dono di illuminare la musica apparentemente semplice, semplicissima, quasi dimessa, e di rivelarne la profondità, dando ad ogni nota il suo peso e il suo valore. Poi è passato ad un Beethoven ben diverso, quello della Sonata op. 101, la ventottesima delle trentadue e la prima del cosiddetto terzo stile. Anche se ora le dita non lo aiutano più a dare alle singole voci la nitidezza, l’evidenza e l’equilibrio di un tempo, c’è tutto il suo spirito di sempre nel furore contrappuntistico del secondo movimento e della parte centrale del quarto, affrontata a un tempo velocissimo, quasi rabbioso, per poi placarsi nell’imprevedibile conclusione, che è altrettanto e forse anche più poetica, sospesa, magica che nella sua incisione di alcuni anni fa.
La prima parte si chiudeva con uno dei brani più ardui della letteratura pianistica dell’Ottocento, la Fantasia op. 17 di Schumann. Anche qui lo spirito ha la meglio su tutte le difficoltà di questo capolavoro dal virtuosismo asperrimo, che non dà un attimo di respiro (e che ha causato qualche problema anche ad un giovane leone della tastiera ascoltato nella stessa sala qualche settimana prima). La scelta dei tempi è perfetta e dà a Schumann tutto il romantico e inesauribile slancio in avanti che è tipico del più romantico dei compositori romantici. È indimenticabile come il secondo tema del terzo movimento canta sulle ricche armonie della mano sinistra.
La seconda parte è tutta dedicata a Chopin, con alcuni capolavori particolarmente amati da Pollini. Si sono potute così riascoltare le sue interpretazioni della Ballata n. 4 con la diabolica coda e lo Scherzo n. 1 con l’intatta poesia del sognante e nostalgico Trio.
In poche parole, è stato un concerto pieno di profonde emozioni, che mai e poi mai baratteremmo con i concerti tecnicamente perfetti ma senz’anima di alcuni virtuosi di mezzo secolo più giovani di Pollini. Dopo ogni brano il pubblico ha espresso con calore tutto il suo amore per questo grande maestro e alla fine l’entusiasmo è stato incontenibile. Dopo non so quanto chiamate, tutti erano ancora lì ad applaudire e non accennavano ad andarsene, così Pollini è stato quasi costretto a concedere un bis. Quando si è nuovamente seduto alla tastiera abbiamo pensato che avrebbe suonato Chopin, ma credevamo un valzer o una mazurka, al massimo un notturno; mai avremmo immaginato quale brano Pollini, nonostante fosse ormai visibilmente e comprensibilmente stanco, avrebbe generosamente scelto: la Ballata n. 1 !
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